Cultura

Crema, l'omaggio del sindaco nel
ai caduti della Grande guerra

In mattinata, il Sindaco Fabio Bergamaschi ha rilasciato un discorso in onore della manifestazione dei caduti, volto a celebrare il primo giorno di pace post prima guerra mondiale. La cerimonia è avvenuta in Piazza Trento e Trieste, proprio davanti al monumento ai caduti nella Grande Guerra.

“Spettabili Autorità civili, militari e religiose, rappresentanti delle associazioni dei combattenti e reduci e delle associazioni d’arma, care concittadine e cari concittadini, il 4 novembre del 1918 per l’Italia fu un giorno di pace. Il primo giorno di pace. Un grande giorno al termine della Grande Guerra. Dopo aver pianto oltre un milione di vittime tra militari e civili, pari al 3,5% della popolazione italiana del tempo, l’Armistizio di Villa Giusti, la resa dell’Impero Austro-Ungarico e l’annessione di Trento e Trieste, con cui si compiva il processo di unificazione nazionale avviato in epoca risorgimentale, chiudevano vittoriosamente l’epoca dell’immane sacrificio. Un Paese vittorioso. Ma un Paese stremato. Con un’economia da riconvertire faticosamente al tempo di pace, un allargamento della forbice tra ricchi e poveri, la retrocessione della classe media sotto i colpi dell’inflazione, una riforma agraria promessa e inattuata e crescenti tensioni sociali che prepararono il terreno all’ascesa del risentimento, sfociato prima nel biennio rosso, poi nel biennio nero, il fascismo, la dittatura. La vittoria non basta a se stessa. E il significato del ricordo della Prima Guerra mondiale, del sacrificio e dell’eroismo dei combattenti italiani delle Dolomiti, dell’Altopiano di Asiago, del Cadore, del Carso, della disfatta di Caporetto, come del riscatto di Vittorio Veneto, non può limitarsi alla celebrazione della vittoria in sé o della sopraffazione del nemico o, ancora, della semplice espansione territoriale. Perché il vero successo di una nazione nell’ambito di un conflitto – sempre che di successo si possa parlare quando in questione vi è l’ “inutile strage” della guerra, come ebbe a definirla Papa Benedetto XV – non si misura con il righello sulle mappe, ma orientandolo ad una dimensione valoriale e di senso. Certamente, il raggiungimento di un’unità nazionale tanto difficile quanto ardentemente voluta offre un alto significato al sacrificio di un popolo. Ed anzi ciò che ancora oggi celebriamo, a distanza di lungo tempo, fu proprio il nascere tra gli italiani di una coscienza di popolo e un sentimento diffuso di unità nazionale, fino ad allora rimasto appannaggio delle élites intellettuali e politiche, che derivò proprio da quella stagione di comune sofferenza. Perché fu nelle trincee che gli italiani, provenienti da ogni regione, scoprirono di essere tali. Fu nel Milite Ignoto tumulato nel sacello posto sull’Altare della Patria che ogni vedova riconobbe il proprio marito, ogni madre ed ogni padre il proprio figlio. “Degno figlio di una stirpe prode e di una millenaria civiltà, resistette inflessibile nelle trincee più contese, prodigò il suo coraggio nelle più cruente battaglie e cadde combattendo senz’altro premio sperare che la vittoria e la grandezza della patria”.

Queste le parole, profonde, all’atto del conferimento della Medaglia d’Oro. Nacque l’Italia come unità territoriale, ma anche come sentimento collettivo di chi finalmente avvertiva una comunanza di radici storiche e culturali, nonché di destino. Un momento determinante nella storia del Paese. Tuttavia, va ricordato attentamente, non decisivo per la sua prosperità e grandezza. Perché negli anni seguenti si aprì, al contrario, una stagione di sofferenza socio-economica che presto sfociò nel ventennio fascista, nella follia di un ulteriore conflitto mondiale e nella guerra civile tra gli italiani. Trovammo l’unità nazionale, pertanto, ma non raggiungemmo la coesione sociale. E ciò che ne conseguì rimane un importante monito per ogni epoca. Anche per oggi, in un tempo in cui il benessere socio-economico non appare più come una prospettiva diffusa e universalmente accessibile. Un luogo libero, democratico e giusto da abitare. Questo è il desiderio ardente degli italiani di oggi. Questi, credo, debbano sempre essere i valori irrinunciabili di una nazione. E questo è ciò che difendono, oggi, secondo il dettato costituzionale le nostre Forze Armate, che festeggiamo nella Giornata loro dedicata.”

“La difesa delle istituzioni democratiche, della sicurezza internazionale e della pace sono l’impegno quotidiano dei nostri militari, che operano negli scenari globali nell’ambito di forze multinazionali di peace keeping con professionalità ed eccellente capacità di relazione con le popolazioni locali, autentico tratto caratterizzante della nostra presenza nel mondo e, in radice, del nostro popolo. Un compito delicato, mai semplice e reso ora ancor più complicato dalle tensioni geopolitiche recentemente riesplose, nell’ambito di una dinamica delle relazioni tra gli Stati che si fatica ad identificare con il concetto di progresso per l’umanità. E con questa preoccupazione, con il dolore quotidiano per le morti di militari e civili nelle atrocità delle guerre in Ucraina, Israele e Palestina, con l’angoscia che tutto possa ulteriormente precipitare con conseguenza inimmaginabili, volgere lo sguardo alle nostre Forze Armate, al compito che abbiamo loro assegnato per Costituzione, al loro operato che ne diventa quotidiana traduzione, ci rende almeno orgogliosi di essere italiani. Orgogliosi di questa nostra Patria. Onore ai caduti per la Patria, viva le Forze Armate, viva l’Italia!”

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