Cronaca

Morte di Mauro Pamiro. Il
giudice archivia, caso chiuso

Il gip ha messo la parola fine al giallo sulla morte di Mauro Pamiro, il 44enne professore di informatica all’istituito Galilei di Crema, trovato cadavere il 29 giugno del 2020 in un cantiere edile in via Don Primo Mazzolari. Accogliendo la seconda richiesta di archiviazione del pm, alla quale ancora una volta si era opposta la famiglia, il giudice ha definitivamente chiuso il caso. Di conseguenza, è caduta l’ipotesi di reato di omicidio nei confronti di Debora Stella, moglie della vittima, che era stata iscritta nel registro degli indagati come atto dovuto. Era difesa dall’avvocato Mario Palmieri.

Franco e Marisa Pamiro, i genitori del professore, assistiti dagli avvocati Antonino Andronico e Gian Luigi Tizzoni, sono sempre stati convinti che il figlio sia stato ucciso e poi trasportato nel cantiere dove era stato trovato. Su richiesta della famiglia, nel gennaio dello scorso anno il gip aveva disposto nuove indagini che però non hanno fatto emergere elementi nuovi.

Nel video agli atti, Mauro, ripreso da una telecamera alle 2 della mattina del 28 giugno, solo, scalzo e senza telefonino, lascia via Biondini, dove abitava, e si dirige in via Camporelle verso il cantiere situato in via Don Primo Mazzolari. Per il pm Davide Rocco e per la polizia, si sarebbe arrampicato sull’impalcatura per poi cadere. O suicidio, oppure incidente. Per il gip, quella dell’incidente è l’ipotesi più accreditata:

“L’alterazione psicofisica legata all’assunzione di cannabis poche ore prima del decesso e comunque in modo regolare negli ultimi sei mesi di vita”, si legge nelle 13 pagine del decreto di archiviazione, “consentono di ipotizzare che nel caso in esame possa esservi stato, piuttosto che un intento suicida, un errore di valutazione di Pamiro. Arrampicatosi sul tetto del cantiere (ipotesi non incompatibile con la malattia da cui era affetto il Pamiro che perdurava in forma lieve e asintomatica e gli esiti degli esami erano stabili e consentivano a Mauro di avere una vita normale e senza alcuna limitazione, egli potrebbe aver deciso di saltare valutando in modo errato l’altezza dell’edificio”.

Per quanto riguarda la caduta, tra le varie ipotesi analizzate, per il giudice “è risultato che l’unica spiegazione è che Pamiro, dopo una breve rincorsa, abbia effettuato un salto dal tetto del cantiere edile. In tutte e tre le prove di salto simulato, la posizione del manichino rispetto al muro di cinta e al ponteggio è risultata compatibile con quella di ritrovamento del cadavere. Le differenze di posizione e postura sono ascrivibili all’incertezza sulla direzione della rincorsa, sulla eventuale velocità di stacco e sul moto degli arti durante il volo libero”.

“Compatibile”, per il giudice, “la ferita riscontrata nella regione frontale con un urto contro una superficie ruvida, quale ad esempio il frammento di tegola parzialmente imbrattata di sangue sulla quale effettivamente è stato rinvenuto unicamente il profilo genetico di Pamiro”. “Priva di  riscontro”, dunque, “l’ipotesi che la stessa possa essere stata impugnata da terzi – non essendo state rilevate impronte papillari, palmari o digitali, utili per un successivo confronto – al fine di cagionare la lesione sulla fronte del Pamiro”.

Un anno fa, in luglio, nel corso delle verifiche sulla macchina e nella casa del professore e della moglie Debora, non era stato trovato nulla. L’esame del Luminol aveva dato esito negativo. Niente sangue o altro materiale biologico riconducibile alla vittima nella casa di via Biondini e niente sangue sulla Citroen C3 grigia della coppia.

“Il provvedimento”, ha dichiarato l’avvocato Palmieri, “pone la pietra tombale su una ingiusta persecuzione cui è stata sottoposta la signora Stella in questi tre anni. Ringrazio la Procura di Cremona e il gip che hanno gestito tutto il procedimento con grandissimo scrupolo e con grande professionalità”.

Sara Pizzorni

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