Cronaca

Acqua, l’analisi di Pezzoni:
“Quell’assemblea dei sindaci è valida
La legge va rispettata
Il piano di Salini non esiste più”

Pezzoni

 

Marco Pezzoni, ex parlamentare, ha studiato a lungo le questioni relative agli enti locali e alle società di servizio.  Ci ha inviato un lungo testo dal quale emerge chiaramente come la Conferenza dei sindaci di venerdì sia stata pienamente legale e che il progetto per il piano d’Ambito di fatto non esista più.

Per quanto riguarda la validità della Conferenza dei sindaci di venerdì 16 dicembre 2011 che ha bocciato il modello di società mista proposto dal Piano d’Ambito, piuttosto che sparare opinioni solo in una logica di convenienza, correttezza vorrebbe che si leggesse attentamente la normativa di riferimento. Leggiamo allora l’articolo 8, comma 1 e comma 2, del Regolamento della Conferenza dei comuni che ricadono nel territorio della Provincia di Cremona, approvato in data 16 marzo 2011 da 59 Comuni :

” Art. 8 – Deliberazioni della Conferenza

1. La Conferenza non può deliberare se non sono presenti Comuni che detengono, in prima convocazione, la maggioranza delle quote di rappresentanza degli enti partecipanti alla Conferenza, con almeno 1/3 (un terzo) dei componenti e,in seconda convocazione, almeno il 30 ( trenta) percento di tali quote di rappresentanza, con almeno 1/4 ( un quarto) dei componenti, salvo le deliberazioni relative al parere obbligatorio e vincolante di cui all’articolo 6, comma 1, lettera b), che richiedono la presenza di un numero di Comuni almeno pari alla metà più uno degli aventi diritto al voto. “

Il testo dice chiaramente che la Conferenza dei Comuni può deliberare, in seconda convocazione, se la quota complessiva di abitanti  rappresentati dai sindaci presenti raggiunge almeno il 30 per cento del totale provinciale. Alla Conferenza dei Comuni di  venerdì 16 dicembre questa quota del 30 per cento è stata raggiunta e superata, come ha certificato, forse senza accorgersene,  lo stesso presidente dell’ assemblea sindaco Leni  quando ha verificato la  presenza di 62 sindaci o delegati e ha dato avvio alla seduta. Poichè è lo stesso Regolamento che fissa il numero di cittadini residenti, Comune per Comune, basta scorgere l’elenco dei presenti per vedere che la somma dei cittadini rappresentati dai loro Comuni supera abbondantemente il 30 per cento fissato dal Regolamento.

Anche l’uscita di scena di Leni, con la sua quota di cittadini rappresentati da sottrarre alla somma complessiva, non incide più di tanto sul totale di cittadini rappresentati nella Conferenza che rimane ampiamente sopra la soglia regolamentare.

Per quanto riguarda le deliberazioni relative al parere obbligatorio e vincolante, il Regolamento da un lato si richiama  alla Legge Regionale che prevede espressamente la presenza di un numero di Comuni almeno pari alla metà più uno degli aventi diritto al voto. Dall’altro al comma 2 dell’articolo 8 da invece un indirizzo “ restrittivo” rispetto all’artcolo 48 della stessa Legge Regionale perchè prescrive che” le deliberazioni relative al parere  obbligatorio e vincolante …sono validamente assunte con il voto favorevole dei Comuni che rappresentano almeno la maggioranza della popolazione residente nell’ambito territoriale ottimale” .

Dunque si può profilare un conflitto tra i criteri della Legge regionale e questi del comma 2 dell’articolo 8 del Regolamento della Conferenza dei Comuni. Mentre per l’articolo 48 basterebbe la maggioranza numerica dei sindaci, il Regolamento locale prevederebbe una restrizione di questa capacità deliberativa. Per la Legge Regionale la condizione numerica sarebbe sufficiente ed è stata totalmente soddisfatta dalla presenza di 60 sindaci o loro delegati alla Conferenza dei Comuni di venerdì 16 dicembre, essendo la quota numerica da raggiungere quella di quota 58. In sintesi, ambedue le condizioni poste dalla Legge Regionale sono state rispettate: quella della quota numerica dei presenti e quella della quota di popolazione rappresentata. Mentre non è stata rispettata la norma restrittiva prevista dal Regolamento al comma 2 dell’articolo 8.

Legge Regionale 26/2003 e Legge Regionale 21/2010

E’ lo stesso Regolamento sopra citato che richiama le disposizioni regionali ” in assenza della specifica disciplina delle modalità di votazione, come per la nomina del Presidente della Conferenza dei Comuni ” e che sostiene  ” sia ancora necessario fare riferimento alle disposizioni dettate dall’ articolo 48, comma 3,della Legge Regionale 26/2003, così come modificato dall’ art. 1, comma 1, della Legge Regionale 21/2010 con cui vengono definite le votazioni relative alle decisioni su cui la Conferenza è chiamata ad esprimere un parere obbligatorio e vincolante .

In caso di parere obbligatorio e vincolante le disposizioni ” prevedono:

– il voto favorevole dei Sindaci o loro delegati che rappresentino almeno la maggioranza della popolazione residente nell’ambito del servizio idrico integrato

– che le deliberazioni hanno validità se il numero dei Comuni presenti è la metà più uno degli aventi diritto al voto. “

 

Vediamo ora la conformità degli atti deliberati dalla Conferenza dei Comuni del 16 dicembre 2011 :

Punto uno: per quanto riguarda la quota numerica necessaria per poter deliberare un parere obbligatorio e vincolante , la normativa regionale fissa nella metà più uno dei Comuni presenti la quota da raggiungere.

Nulla di nuovo rispetto alle condizioni di cui abbiamo già ampiamente parlato: nel caso della Conferenza dei sindaci di venerdì 16 dicembre 60 Comuni presenti hanno superato di 2 la maggioranza numerica richiesta che era di 58 e dunque hanno potuto esprimere legittimamente un parere obbligatorio e vincolante. Parere che , come sappiamo, è stato negativo e che dunque ha bocciato il modello di gestione avanzato nel piano d’Ambito,  cioè la società mista.

La conseguenza giuridica è che il Piano d’Ambito non esiste più e che è stato scongiurato il rischio del silenzio-assenso.

Punto secondo. Per quanto riguarda infine l’altra disposizione regionale, quella del voto favorevole a un progetto di gestione dell’acqua, si prevede giustamente la validità del voto solo nel caso rappresenti almeno la maggioranza della popolazione residente. Questo perchè un progetto importante e di lunga durata deve avere un consenso sociale e territoriale condiviso almeno dalla metà della popolazione, anche se calcolato sulla rappresentanza.

Nel caso specifico della Conferenza dei sindaci del 16 dicembre, l’assemblea non avrebbe potuto mettere in votazione una proposta di modello di gestione alternativo a quello bocciato. Non perchè non fosse in grado, ma perchè per poter esprimere un voto favorevole ad un progetto che impatta per anni sul territorio e sulla cittadinanza occorre quella clausola di salvaguardia che prevede la validità del voto favorevole solo nel caso sia verificata in assemblea la maggioranza della popolazione rappresentata, Dunque questa norma della Legge Regionale è un atto d’accusa verso quei sindaci che, non partecipando, non hanno saputo o voluto esprimere un voto favorevole al Progetto di società mista voluta da Salini. Questo sì,  per essere approvato, avrebbe avuto bisogno di un voto favorevole espressione anche di una maggioranza della popolazione.

Insomma non è  un caso che la Legge Regionale, nelle disposizioni per le deliberazioni, non citi il termine “voto” da solo, ma scriva esplicitamente  che è ” Il voto favorevole”  che, per essere valido,  richiede una maggioranza di popolazione rappresentata.

Se la Legge regionale avesse voluto restringere la ” capacità deliberativa” della Conferenza dei Comuni solo al caso di una maggioranza di popolazione rappresentata, avrebbe dovuto scrivere nel testo non ” il voto favorevole dei Sindaci o loro delegati che rappresentino almeno la maggioranza della popolazione…”, ma semplicemente e chiaramente ” il voto dei Sindaci o loro delegati che rappresentino almeno la maggioranza della popolazione…”

E’ chiaro a tutti, giuristi e no, che non siamo di fronte ad una dimenticanza o a una svista, ma l’esplicita aggiunta dell’aggettivo ” favorevole” al termine “voto” ne fa una tipologia giuridica precisa che risponde ad un giusto criterio di salvaguardia democratica. Il parere negativo della Conferenza dei sindaci ha potuto, invece, essere legittimamente espresso perchè non impone nessun modello nè ai sindaci assenti nè alla maggioranza della popolazione non rappresentata in quell’assemblea. Azzera solo la situazione, togliendo dal tavolo il progetto avanzato dall’Ato Del resto la Ratio dell’ articolo 48 della Legge Regionale è chiaro: garantire che la proposta di modello di gestione dell’acqua, magari di durata ventennale, sia condiviso da una “doppia maggioranza” , sia numerica di Comuni sia di popolazione rappresentata.

Alcuni  fautori della garanzia maggioritaria che impone questo articolo, come possono poi pretendere che l’unica alternativa valida al voto favorevole ad un progetto sia il silenzio-assenso ? Il silenzio-assenso risponde ad una garanzia maggioritaria ? Il silenzio-assenso sarebbe dunque equivalente al voto favorevole? La Conferenza dei sindaci non avrebbe altra possibilità che mangiare ” quella minestra” o altrimenti vedersela servire fredda dal futuro Commissario?

Certo che no! L’ articolo 48 permette la deliberazione di pareri obbligatori e vincolanti con la sola condizione della presenza della maggioranza numerica dei sindaci. E i pareri  obbligatori e vincolanti non è detto che debbano per forza essere solo favorevoli . Solo se sono favorevoli, perchè decidono e impongono alle minoranze un’ opzione ben precisa, debbono contare su una doppia maggioranza!

Non c’è dubbio invece che la disposizione prevista al comma 2 dell’articolo  8,  certo  gerarchicamente inferiore alla Legge regionale, non solo sia più restrittiva ma addirittura funzionale a favorire il silenzio-assenso piuttosto che a promuovere la partecipazione libera e consapevole dei Comuni.

Dunque tra conflitti interpretativi e riconoscimento o meno del valore politico o anche giuridico della Conferenza dei Comuni del 16 dicembre la comunità provinciale è praticamente spaccata in due. Siamo al bivio: continuiamo il muro contro muro o ricominciamo  con un tavolo di confronto pulito e, si spera, rispettoso della democrazia, delle Leggi, dello Stato di Diritto ?

Marco Pezzoni

 

Sullo stesso tema è intervenuto Giuseppe Torchio, ex presidente dell’Amministrazione provinciale:

1) i dati dell’economia mondiale danno 1/5 del valore alla produzione dei beni; 1/5 alla loro trasformazione e 3/5 ai servizi (commercializzazione, reti di distribuzione, credito, etc.)

È evidente che il vero bussines è proprio nelle reti e nei servizi, una realtà dove la posta in palio è assai elevata e decisiva e mi piacerebbe sapere quali aziende cremonesi a livello pubblico e privato potrebbero competere a questo affare della privatizzazione dell’acqua: NESSUNA!

Chi vuole ostinatamente la privatizzazione dell’acqua non ha a cuore il proprio territorio provinciale che viene prima degli affari di questa o di quella multinazione straniera ed è vergognoso che quanti hanno tuonato per la cessione di Parmalat alla francese Lactalis non dicano nulla rispetto ai tentativi di multinazionali francesi e non di accapparrarsi il nostro servizio idrico.

2) il mercato dell’acqua vede già il 90% del budget rappresentato dall’acqua minerale saldamente nelle mani dei privati e l’Italia nel mondo è la prima in termini assoluti nei consumi di acqua minerale. Evidentemente questo non è sufficiente e fa molto gola anche questa “nicchia” dell’acqua pubblica. Tutto questo è legittimo in un’economia di mercato, ma con quali conseguenze?

3) premesso che il quesito referendario del giugno scorso “esclude la remunerazione del capitale investito” da parte del pubblico e/o del privato, come sarà possibile blindare il piano d’ambito del servizio idrico integrato cremonese che, invece, lo prevede? A questo dovrebbero rispondere i fautori della società mista. Non abbiamo mai trovato un imprenditore privato così “grullo” che ci abbia messo dei capitali senza una loro adeguata remunerazione. È quindi ideologico chi sostiene la società mista con i privati senza declinarne i reali risvolti operativi.

4) pertanto il “piano d’ambito” non potendo remunerare il capitale investito potrà e dovrà operare solo sulla “tariffa”. Ne consegue che allora le due società, pubblica e mista, pari sono. Ma solo apparentemente.

5) infatti finora le società pubbliche per la gestione del servizio idrico hanno contemplato fasce sociali per gli utenti più deboli e per gli industriali, gli agricoltori e tutti i comparti produttivi. Hanno quindi agito con una politica tariffaria concordata con la realtà economica e sociale mediata dai sindaci che esprimevano la governance delle società pubbliche

6) ora, invece, con la nuova legge regionale voluta da Salini e con la società mista, con la presenza dei capitali privati e senza una governance condivisa da parte dei Comuni, come si è già amaramente constatato nell’Ato, sia le utenze sociali che quelle agricole, industriali e del mondo produttivo non saranno più legate alla mediazione con i sindacati e le associazioni economiche e correranno libere verso la “remunerazione del capitale investito” in quanto la privatizzazione dell’acqua è un grande affare dove annegare la coscienza civica sui beni comuni per ricavare, nel grande mercato dei servizi, nuove performaces per le multinazionali a scapito delle famiglie e del mondo produttivo.

7) il piano d’ambito, con gli investimenti elevati previsti, la mancata interlocuzione con la Cassa Depositi e Prestiti per recuperare costi creditizi moderati e la difficoltà reale ma ancor più enfatizzata di trovare istituti bancari disponibili a finanziare, diventa il banco di prova di una politica di “ricarico” dei servizi alle spalle delle famiglie e del mondo produttivo: non a caso il piano d’ambito prevede nei prossimi anni un forte aumento delle tariffe, senza un adeguata interlocuzione con i consumatori e le forze economiche e sociali.

8) la “reductio ad unum” delle attuali “sette sorelle” che gestiscono l’acqua cremonese è un contributo di serietà che negli anni della maggiore attenzione ai “costo della politica” ed al rigore la politica locale deve dare, insieme ad un più puntuale controllo delle politiche di spesa e di investimento, compreso il’impegno ad evitare di collegare le più spedute cascine e le capanne presenti nelle più remote contrade della provincia. Un taglio realistico, collegato alla necessaria sobrietà che i tempi difficili impongono.

9) non si può dimenticare come un’ocultata politica di gestione del servizio idrico abbia generato fino a 3 milioni di euro di dividendi per i Comuni soci, come emerge dai bilanci di “Padania acque”. Con questi chiari di luna sarebbbe una boccata d’ossigeno per i Comuni cje, però, nel frattempo, hanno perso ogni capacità di guidare la barca.

Giuseppe Torchio
Lista Civica Provinciale

 

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