Cronaca

Violenza sessuale di gruppo Imputati colpevoli: pena di sei anni a ciascuno di loro

L’avvocato Aiello

Sei anni di reclusione a testa e come risarcimento danni una provvisionale di 40.000 euro alla parte civile. Così ha deciso il gup Elisa Mombelli nei confronti dei tre imputati accusati di violenza sessuale di gruppo ai danni di una ragazza cremasca di 21 anni. Per i tre, processati con il rito abbreviato, il pm Lisa Saccaro aveva già chiesto una pena di cinque anni e quattro mesi di reclusione. Mohamed, 50 anni, e Lahoussaine, 53 anni, entrambi marocchini senza fissa dimora, restano in carcere e saranno espulsi una volta scontata la pena, mentre Stefano, il cremonese di 36 anni amico della vittima, resta ai domiciliari. La motivazione della sentenza sarà depositata entro 90 giorni.

“Sono contenta”, ha commentato l’avvocato Mimma Aiello, legale della vittima, “perché la credibilità della mia assistita era così evidente. Sono contenta che la verità sia emersa, è una pena giusta per quello che hanno commesso”. “Anche la mia cliente è contentissima di essere stata creduta”, ha aggiunto il legale. “Era molto tormentata per questo: si chiedeva come si potesse pensare che tutti quei segni fisici si li fosse fatti da sola. Ora si è tolta un peso, il suo timore era che i tre imputati avrebbero potuto tornare liberi e quindi di trovarseli in giro per strada. Mentre ora è tranquilla”. L’avvocato Aiello ha poi specificato che nella sua assistita non c’è mai stato desiderio di vendetta. “La mia cliente si fidava di quel ragazzo, era il suo unico amico, all’inizio non voleva neppure denunciarlo”.

L’episodio risale al 24 maggio dell’anno scorso all’interno di uno stabile abbandonato a Crema, l’ex Everest, nel quartiere Santa Maria, dove la giovane era stata costretta a bere fino ad ubriacarsi e poi violentata da Stefano, per anni suo amico del cuore, e dai due marocchini.

L’avvocato Galli

Nel pomeriggio del 24 maggio la ventenne aveva raggiunto in pullman la stazione di Crema dove si era incontrata con Stefano con il quale aveva deciso di andare a convivere. I due si erano poi diretti all’ex Everest e successivamente in un bar, dove avevano consumato un panino e una birra. Erano usciti senza pagare, e il barista aveva chiamato la polizia. I due erano stati fermati e controllati, dopodichè erano tornati all’ex Everest dove si era consumata la violenza: secondo il racconto della giovane, l’amico, insieme ai due marocchini, l’aveva prima fatta bere, spogliata e gettata su un giaciglio di fortuna e poi violentata. Erano le 16,30.

Tutti gli imputati erano difesi dall’avvocato Fabio Galli, che la scorsa udienza, durante le sue conclusioni, aveva detto che la giovane si era inventata tutto “per ripicca”, perché “rifiutata dall’amico che si era arrabbiato, in quanto lei, nei giorni precedenti, gli aveva confermato di aver trovato una casa in affitto a poco prezzo. Il mio assistito quel giorno ha fatto diverse telefonate alle agenzie immobiliari. Non era vero. Si è arrabbiato e le ha detto di andarsene”.
Nelle sue conclusioni, inoltre, il legale della difesa aveva puntato molto sugli orari che non tornavano e su quanto emerso dai tabulati telefonici, dove risultava che uno dei due marocchini aveva fatto tre chiamate al cremonese: la prima alle 16,27 senza risposta, la seconda alle 16,32 nella quale i due avevano parlato per 31 secondi. La terza alle 16,40”. “O i miei assistiti”, erano state le conclusioni del legale, “sono talmente mostri di intelligenza che mentre violentavano la ragazza si telefonavano per crearsi un alibi, o altrimenti vuol dire che la ragazza dice il falso, perché alle 16.40 la violenza non c’era ancora stata”.

“Non escludo”, ha ipotizzato oggi l’avvocato Aiello, “che quei telefoni fossero in realtà in uso anche ad altri soggetti. In aula, comunque, non è stata raggiunta la prova che fossero stati effettivamente gli imputati a fare quelle telefonate”.

Contro la sentenza, l’avvocato Galli ricorrerà in appello. “Sono sinceramente curioso”, ha commentato, “di vedere come verrà motivata la condanna, visto la mancanza di dna e di liquido seminale sul luogo del fatto, viste le tempistiche, e cioè che tutto si sarebbe consumato in meno di un quarto d’ora, e questo al di là delle telefonate tra gli imputati”.

Sara Pizzorni

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