Cultura

Dj Cino: dalle notti
cremasche al live
a Quellicheilcalcio

– Nella foto, Dj Cino. Copyright: Pam Photos.

Erano gli ultimi mesi del 2001. Mattia aveva appena compiuto 13 anni. Nella sua cameretta, al piano di sopra, comparvero un mixer e due CDJ. Poi, i primi concerti in solitaria: quegli eventi esclusivi a cui i genitori, nolenti, devono assistere. Le feste con gli amici. I locali, le discoteche, dentro e fuori Crema.
Ma non bastava. Dj Cino – al secolo, Mattia Cerri, classe ’88 – nel 2007 si iscrive allo IED, dove si laurea in Sound Design. Diventa responsabile di laboratorio. Intanto, la sua passione diventa, pian piano, il suo lavoro. Nel 2013 la Sub Tech Record inciampa nel suo suono, e lo scrittura. L’anno dopo, Monique Musique – una tra le prime 50 label al mondo – lo vuole nel suo entourage di artisti. Oggi è dj e consulente musicale per Quellicheilcalcio, su richiesta di Nicola Savino.

Hai girato buona parte dei locali di Crema, e il “dj-set di Cino”, anche in terra cremasca, è diventato un marchio conosciuto. Ma dove ha inizio questa tua passione?
“La mia passione per il djing – perché io nasco come dj – prima ancora che per la composizione musicale, nasce tanti anni fa. Avevo 13 anni, e me l’ha trasmessa mia cugina Giovy, anche lei dj. La accompagnavo a suonare alle feste, le portavo le borse dei vinili e poi mi mettevo li a guardarla muovere le mani sui giradischi.
Pochi mesi dopo ho chiesto ai miei genitori, come regalo di compleanno, la mia prima console. Ricordo ancora i tasti in gomma su cui dovevi picchiare come un fabbro per farli andare. Avevo tutto in camera mia, su un grosso scaffale. Suonavo hardcore. Mia mamma mi odiava per questo, e spesso mi toglieva la corrente al piano di sopra, dove stavo. Che battaglie con lei! Oggi le ricordo con un gran sorriso, perché è grazie a lei ed a mio papà che ho potuto cominciare a percorrere la strada che ancora oggi sto percorrendo”.

I palchi cremaschi ormai li conosci. Cosa t’ha colpito della scena cremasca?
“Quanto sia radicata la forza dell’abitudine. Lavorando oramai molto fuori da Crema, tutte le volte che mi capita di tornarci, anche solo per un caffè, riesco a guardare la scena con un bagaglio d’esperienza sempre maggiore, e con un po’ più di distacco. Da piccolo, un po’ come tutti, pensavo che Crema ed i suoi locali fossero il mondo. Adesso non lo penso più e, ti dico, in tutta sincerità, non nutro un grande interesse per la proposta artistica locale. Una pecca mia: forse son troppo concentrato su quello che faccio.
Pensando alla scena cittadina, la prima cosa che mi viene in mente per una parte di essa è un gruppo di nobili del Settecento, che danno feste sfarzose per ribadire a tutti che se lo possono permettere, e quanto sia invidiabile la loro vita. A mio giudizio, però, non vedo molta gente che ha i titoli per farlo. E di conseguenza la credibilità non va oltre alla cerchia di amici. Allo stesso tempo ho la sensazione che questa cosa piaccia molto in città: se questo è quello che la gente vuole, perché privarla da ciò che desidera?
Tempo fa, a Mendrisio, parlando con un grande artista assieme al quale lavoravo, quest’ultimo mi disse: “Matti, fidati di me: l’ultimo posto che riconoscerà i tuoi successi dei tuoi passi in avanti sarà proprio il tuo paese”. Aveva ragione.
Ora, a Crema, vedo nascere nuovi progetti, realtà dove c’è voglia di fare, scoprire, di curiosare. Di guardare verso il futuro. In questi, ho tanta fiducia”.

E dopo aver fatto girare i dischi – in senso letterale – a metà Crema, lo sbarco in Rai. Cosa ne pensi?
“È una gran bella occasione. L’ambiente televisivo è il massimo livello del mondo dello spettacolo: ci sono i tecnici audio, video e di regia più preparati in circolazione. Autori, produttori e consulenti musicali che hanno fatto la storia della musica italiana. Un grandissimo team, composto da centinaia di persone e che lavora in maniera serrata, corposa e precisa. Esser catapultato lì dentro significa esser catapultati nella miglior palestra che ci sia. Affini il metodo di lavoro, la tempestività, l’efficacia, la capacità di far fronte a tantissime richieste in un lasso di tempo brevissimo, lo spessore delle persone con cui ti interfacci, il meglio che c’è sul territorio nazionale. E impari tantissime cose nuove di un mondo che, per me, era molto lontano.
Nello specifico, “Quellicheilcalcio” è ancora più impegnativo, perché non c’è nulla di registrato o in playback, è tutto in diretta, musica compresa. Il lavoro della diretta è forse il 5%, ma il 5% più difficile. E poi, tutte quelle telecamere e luci, condividere lo studio con gente come Nicola Savino e tutti gli altri membri del cast, gente che è lì perché ha lo spessore per farlo. Mi viene ancora difficile pensare che anch’io sono lì per quello, per esser stato ritenuto in grado di farlo, proprio come loro. Come sempre entro in punta di piedi, e solo il tempo ed il tanto tanto lavoro mi permetterà di poggiarmi poi su tutta la pianta, senza mai perdere l’entusiasmo le la voglia di fare di queste prime puntate”.

Quest’ultima esperienza la ritieni un traguardo? Quali sono i tuoi obiettivi futuri?
“Certo che no, penso invece che sia un altro brillante punto di partenza. Ritengo che ogni esperienza che ti capiti, e che grazie alle tue capacità riesci a far fruttare, sia un piccolo passo in avanti verso i tuoi desideri e le tue ambizioni. Un costante, solido miglioramento delle tue capacità, che ti porta ad evolvere in qualcosa di nuovo e più capiente.
Sicuramente è una grande soddisfazione far parte di un progetto che ha una risonanza così forte sul territorio nazionale. Ma il tempo della stretta di mano e dei complimenti dura poco: ogni occasione va sfruttata con intelligenza, e quindi penso che si debba parlare poco e lavorare tanto, per conseguire i risultati. Sono molto più interessato al fare, piuttosto che al fare sapere cosa faccio. Ho ben chiari i miei obiettivi e guardandomi indietro vedo che la strada presa è quella giusta. Ma sono appena partito ed ho grande fiducia in ciò che mi riserva il futuro”.

Zeta

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