Emergenza senzatetto
in città posti letto esauriti
Giovani e famiglie in difficoltà
Prende piede l’ipotesi dormitorio
Nella foto, di repertorio, un dormitorio
L’inverno è ormai alle porte e il problema delle persone senza un tetto sopra la testa incombe. Quello che una volta era un problema delle grandi città ora è una realtà anche a Crema. Che sembra non avere soluzione. I posti letto a Crema per le persone sfrattate, o per coloro che per diverse storie e situazioni vivono per strada scarseggiano e le realtà di accoglienza si arrabattano per trovare soluzioni dignitose. In testa c’è la Caritas che sta affrontando al suo interno un confronto per capire come venire a capo, con l’appoggio delle istituzioni, questo problema. Sì, perché che le persone decidano o meno volontariamente di vivere senza una dimora oppure siano costrette dalla perdita di lavoro o della casa, quando fuori la temperatura arriva sotto zero, il pericolo di perdere la vita su una panchina c’è.
Quante siano le persone che in città non hanno più una casa dove dormire è difficile da stimare, ma si parla di oltre una cinquantina tra coloro che da tempo vivono in alloggi di fortuna e persone che per strada ci sono finite in questo ultimo periodo. E di posti per accoglierli non ce ne sono più.
Ma chi sono le persone che chiedono aiuto e che non hanno più un posto dove stare?
“In città – spiega Claudio Dagheti, tra i responsabili della Caritas Diocesana – ci sono due tipologie di persone: da un lato gli immigrati clandestini per i quali non si può fare molto: se uno è irregolare anche in base alla Bossi-Fini non si può fare quasi nulla. A fianco ci sono tante altre persone, italiani, giovani o famiglie che si trovano senza casa. E questo è un grave problema”
“Noi non abbiamo più posto per ospitare altre persone: i 27 letti della prima accoglienza e i 13 appartamenti della seconda accoglienza sono tutti occupati”.
Allora che fare? Prende piede l’ipotesi di un dormitorio, anche se il genere di struttura non è assolutamente tra quelle che la Caritas predilige per l’accoglienza. Una struttura, come spiegato da Dagheti, e anche dal direttore della Caritas, don Francesco Gipponi, in un colloquio informale col sindaco Stefania Bonaldi, cosiddetta scomoda, con regole precise: non oltre cinque o sei accessi mensili, senza possibilità di permanenza durante la giornata.
“Questo è un ragionamento che stiamo facendo – spiega Dagheti – anche se non siamo mai stati dell’idea che i servizi di bassa soglia risolvano il problema. Ma siamo in piena necessità. Si tratterebbe di un luogo di primissima necessità, perché la nostra ottica è quella di affrontare il problema in maniera promozionale e non assistenziale. Ogni accoglienza deve poi portare ad una soluzione del problema”. L’idea privilegia un luogo o due piccoli, non grossi dormitori difficili da gestire, ma il tutto è ancora in itinere. Si parla di un luogo privato ceduto in comodato gratuito. Ma anche per realizzare ciò c’è bisogno di risorse.
“Tutto sarà possibile solo se si incontrerà il benestare dal punto di vista economico sia dalla diocesi che dalle istituzioni”.
Un’idea di cui si sta discutendo e della quale Dagheti si dice entusiasta ma allo stesso tempo molto preoccupato: “I criteri per l’accoglienza anche da parte dell’Asl sono molto stretti. Per questo prediligeremo realtà piccole con l’obiettivo di liberare le persone dal bisogno. Un posto del genere potrebbe magari liberare anche le case di prima e seconda accoglienza, dove spesso ci sono persone che non vogliono seguire un percorso di uscita dal bisogno o persone che hanno un breve periodo di disagio”. Un percorso solo all’inizio, ma a quanto pare necessario per affrontare un problema che ogni giorno si fa sempre più grave.
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