I premi della Camera Penale: tra
i 13 bravissimi, anche un detenuto
Tradizionale cerimonia, questa mattina, nell’aula della Corte d’Assise del tribunale di Cremona per la consegna di otto borse di studio, ciascuna del valore di 300 euro, a 13 studenti usciti vincitori dal bando di concorso che ogni anno la Camera Penale di Cremona e Crema indice. Tra loro, anche un detenuto, che ha partecipato in videocollegamento dal carcere di Cremona.
A fare gli onori di casa, la presidente della Camera Penale di Cremona e Crema Micol Parati insieme agli avvocati Marilena Gigliotti e Caterina Pacifici.
“Ricordo con estremo orgoglio che è da più di vent’anni che la Camera Penale si occupa di questo progetto”, ha spiegato la presidente Parati. “C’è un accordo con il Ministero dell’Università che ci permette di incontrare e parlare agli studenti di tutte le scuole medie superiori dei principi che regolano la nostra vita professionale, quei principi costituzionali ai quali noi facciamo riferimento. Questo progetto ha all’interno una simulazione processuale che coinvolge gli studenti che devono cimentarsi nelle vesti di avvocato, pubblico ministero o giudice“.
Quest’anno il tema era “Buttiamo via le chiavi…E la Costituzione cosa ne pensa?“. “Un titolo provocatorio”, ha spiegato l’avvocato Gigliotti, “per dare degli spunti di riflessione in un momento storico sociale come questo in cui a volte i principi costituzionali sembrano essere seriamente messi in discussione. Anche alla luce di tutto il giustizialismo che sembra permeare la nostra società, ci sembrava giusto dare degli spunti di riflessione agli studenti delle scuole. Quest’anno siamo andati anche in carcere dove abbiamo avuto degli incontri con un folto numero di detenuti che hanno gradito molto la nostra iniziativa. Per noi penalisti è stato molto stimolante. Abbiamo seminato e poi abbiamo raccolto i frutti: uno degli elaborati ci è sembrato il più centrato sui temi del bando. Tra l’altro siamo l’unica Camera Penale della Lombardia Orientale che ha esteso il bando al carcere, previsto solo per le scuole superiori e da noi esteso anche alle scuole medie. Il detenuto di 39 anni che ha ricevuto la borsa di studio ha infatti conseguito la licenza media”.
Le borse sono state messe a disposizione dall’Associazione Popolare Crema per il Territorio e dal Banco Popolare; dall’ingegner Alessandro Barbotta, della ditta S.T. A. Barbotta di via Montegrappa a Gadesco Pieve Delmona; in memoria degli avvocati Sergio Franceschini, Vittorio Meanti, Aldo Pizzoccaro, Bruno e Gianpiero Guareschi, e Agostino Russo.
“Questo bando”, ha ricordato la presidente Parati, “non sarebbe possibile se non ci fossero le borse di studio. Molti parenti di colleghi che non ci sono più hanno deciso negli anni di regalare ai ragazzi un contributo per aiutarli nel loro futuro.
Alla premiazione erano presenti i familiari degli avvocati Franceschini, Pizzoccaro, Guareschi, Meanti e l’ingegner Barbotta, oltre alla direttrice del carcere Rossella Padula e al presidente dell’Ordine degli avvocati Alessio Romanelli.
“Splendida”, ha detto il presidente Romanelli, “l’iniziativa di estendere il bando anche agli studenti detenuti. “Una grande occasione, questa, per parlare agli studenti di temi che sono fondamentali: il rispetto, da parte dello Stato, delle regole a tutela di chi è nella gabbia e che fortunatamente ha la possibilità di essere difeso da qualcuno che ha la toga addosso. Stato di diritto e principio di legalità significano che la chiave non può essere buttata via, perchè la porta del carcere deve sempre potersi riaprire“.
L’avvocato Romanelli, commosso, ha anche ricordato la figura dell’amico e collega Agostino Russo, scomparso nel 2020 di Covid dopo essere stato trasferito in un ospedale della Germania; l’avvocato Sergio Fiori ha tracciato un bel ricordo degli avvocati Aldo Pizzoccaro e Sergio Franceschini, così come hanno fatto l’avvocato Ilaria Dioli per il suo mentore Vittorio Meanti e gli avvocati Roberto e Giovanni Guareschi che hanno contribuito per la borsa di studio dedicata al papà Bruno e allo zio Gianpiero.
I PREMIATI
Quest’anno, tra i premiati c’era anche un detenuto del carcere di Cremona. Le altre sette borse di studio sono andate a Marta Barnabò, della classe 3M del liceo Scienze umane istituto Munari di Crema; Beatrice Stefania Ciobanu, della 4E liceo scientifico istituto Racchetti di Crema; Silvia Scandelli, della 2 CD istituto tecnologico Galileo Galilei di Crema; Michela Bertolasi, Emma Cantoni e Gaia Zacchetti, della 2 CA istituto tecnologico Galileo Galilei di Crema; Stefan Buduca, della 3B LSA istituto Torriani di Cremona; Filippo Bodini, della 2FCOM dell’Anguissola di Cremona; Agata Becchi, Marta Marcotti, Eleonora Benvenuto e Camilla Carini della IIB liceo scientifico Aselli di Cremona.
LE MOTIVAZIONI
Per Beatrice Stefania Ciobanu: “Per aver svolto con padronanza argomentativa e lessico essenziale ma efficace, i nodi cruciali della “Giustizia” , in particolare soffermandosi sul significato del giusto processo e delle finalità della pena. L’elaborato , ben strutturato sia nel contenuto che nel lessico, affronta in maniera critica le diverse modalità rieducative del detenuto, con una particolare attenzione al rischio di recidiva , insito in una prospettiva detentiva afflitta dai mali ende-mici del sistema carcerario italiano, quali la detenzione inframuraria e il sovraffollamento .Le conclusioni, coerenti e lineari inducono ad una seria riflessione sulla necessità che la funzione risocializzante e rieducativa della pena, non rimanga una mera dichiarazione”.
Per Agata Becchi, Marta Marcotti, Eleonora Benvenuto e Camilla Carini: “Elaborato originale e ben strutturato, una rappresentazione realistica e decisamente coinvolgente del tema proposto che veicola lo spettatore in fatti di cronaca richiamando, contemporaneamente, concetti normativi e costituzionali che rendono la visione completa e di grande interesse. Colpisce la completa padronanza delle questioni giuridiche, dei diritti in gioco e dei principi costituzionali che regolano il processo e la pena, cosa che rende l’elaborato veramente degno di nota”.
Per Michela Bertolasi, Emma Cantoni e Gaia Zacchetti: “L’elaborato è stato realizzato attraverso un video dal contenuto molto efficace che riporta scene reali della condizione carceraria di San Vittore e di Poggioreale. Il lavoro continua con la riproduzione di un momento di vita carceraria inscenato da una delle autrici del lavoro. Il messaggio è chiaro e diretto e la potenza delle immagini reali si sposa perfettamente con la riproduzione realizzata in chiave più personalizzata. Il tema del bando è stato perfettamente centrato e veicolato allo spettatore attraverso un efficace strumento, la riproduzione video, con cui le autrici dimostrano completa padronanza delle questioni giuridiche e dei diritti in gioco. La giovanissima età degli autori, che frequentano la classe seconda, rende inoltre l’elaborato veramente degno di nota”.
Per Filippo Bodini: “Per aver svolto con padronanza argomentativa e lessico essenziale ma efficace , un’attenta denuncia dei temi del degrado e del disagio sociale, in particolare soffermandosi sul significato costituzionalmente orientato della pena che valorizzi certamente la sua funzione retributiva ma, al contempo, rieducativa e risocializzante. In particolare, utilizzando una chiave comunicativa consona e trasversale al mondo giovanile, visto dalla prospettiva del Rap, il genere musicale più diffuso tra le giovani generazioni , l’elaborato affronta in maniera critica il delicato tema della rieducazione e del reinserimento sociale , visti dalla prospettiva dei rapper, che in realtà, aldilà degli stereotipi facili, sono dei ragazzi che mostrano particolare vulnerabilità. Il monito è quello di abbandonare l’idea carcerocentrica e giustizialista di cui sembra essere permeata l’attuale società”.
Per Marta Barnabò: “L’autrice, con il suo elaborato, racconta di un’esperienza personale relativa ad un soggiorno di una settimana presso una casa famiglia di Eboli durante il quale ha conosciuto un detenuto. L’elaborato contiene la testimonianza toccante di un uomo, detenuto presso il carcere di Eboli, che all’epoca era cuoco della casa – famiglia dove l’autrice soggiornava. L’autrice, con tale testimonianza, ha dato una prova concreta e tangibile che la rieducazione e il reinserimento del condannato sono possibili. Il lavoro è stupefacente, lineare l’esposizione ed il contenuto carico di emozioni. Originale l’idea del doppio punto di vista: di un’adolescente che chiede e s’interessa dello stato d’animo del detenuto, e quello del detenuto stesso le cui risposte sono cariche di vissuto e lasciano intendere una forte motivazione al cambiamento. Il tema affrontato rispetta perfettamente il titolo del bando ed il lavoro presentato è semplicemente eccezionale”.
Per Silvia Scandelli: “L’elaborato, intitolato ‘La chiave non si butta perché la vita non va di-strutta’, è stato realizzato in cartaceo sotto forma di libretto. La produzione è originale, l’esposizione degli argomenti è molto ben organizzata e l’impostazione scelta permette una lettura snella ed essenziale degli argomenti trattati. Il tema centrale è la condizione carceraria, affrontata con molta chiarezza espositiva, sinteticità e ricchezza di nozioni ed informazioni. Il lavoro si conclude con alcune citazioni pertinenti e decisamente ad effetto che lasciano intendere una notevole profondità di pensiero e una considerevole maturità nella rielaborazione di tematiche importanti come quella del carcere. Con citazioni come: ‘Non fatemi vedere i vostri palazzi ma le vostre carceri, poiché è da esse che si misura il grado di civiltà di una Nazione’. Oppure ‘Nella vita si sbaglia, si paga, si cambia’, la lettura dell’elaborato induce inevitabilmente il lettore a riflettere non superficialmente sul tema affrontato”.
Per Stefan Buduca: “Per aver realizzato un breve componimento poetico , strutturato in sei strofe da dieci versi , in cui l’autore tratteggia il dramma della detenzione intramuraria, ove il tempo è scandito da grida disperate, sogni infranti, mura gelide e sbarre di ferro. Originalissima l’idea, mai banale né ripetitivo l’elaborato, riesce ad evocare l’immagine tormentata del detenuto condannato all’ergastolo, ove il lettore rimane rapito dalle suggestioni di una vita privata di qualsiasi aspettativa, dove le chiavi buttate via definitivamente lasciano il posto ad un’esistenza sventurata, condannata ad una gabbia senza speranza, di sofferenza senza limiti e la vita sembra svanire in una danza infinita”.
Per il detenuto: “Per aver fornito un’approfondita analisi del tema dei diritti umani costituzionalmente garantiti e delle possibili derive giustizialiste ad essi correlate, declinandola in un’intelligente e composita disamina di valori e di circostanze di vita allineate ai principi del giusto processo e del significato costituzionalmente orientato della pena. L’elaborato personalissimo nelle opinioni espresse offre arguti spunti di riflessione ma anche moniti a non incorrere nelle suggestioni mediatiche, improntate alla giustizia sommaria e sensazionalista, che produce linciaggi ed esecuzioni a scapito degli inalienabili ed inviolabili diritti di proporzionalità e di certezza della pena . Il linguaggio introspettivo e diretto denota al tempo stesso sensibilità e brillante capacità argomentativa rispetto al tema del bando, con un espresso monito a non buttar via le chiavi ma a considerarle quale strumento simbolico di apertura della porta che dà sul mondo, quel mondo che il carcere lascia inesorabilmente fuori dalla vita umana di chi, sfortunatamente quella chiave la perde”.
L’ELABORATO DEL DETENUTO
“Seguire la linea della vita è a volte complicato, così semplice ma complesso allo stesso momento. E’ per quello che conta tanto avere le persone giuste al nostro fianco, e gli insegnamenti dei familiari, persone, professori e amici buoni”. Sono alcune delle frasi contenute nell’elaborato scritto dal detenuto. “Perché questi consigli”, si legge, “insegnamenti ed esperienze aiutano a scrivere la Costituzione politica di ogni essere umano. Buttare le chiavi sono tre parole semplici ma con un peso importante, però le
persone nei nostri giorni le usano con molta leggerezza, dà l’impressione che le persone di uno Stato sovrano si tolgano da tutte le responsabilità di questa piccola frase. A volte le persone usano questa frase quando
riempiono una stanza con tutte le cose che non gli piacciono più, si pensa non servano più, ma questo non vuol dire che non siano utili.
Ed è così che vedono noi carcerati: oggetti da buttare dentro una stanza e buttare le chiavi. Ma noi abbiamo famiglie, figli, abbiamo una persona che ci ama, abbiamo una perfezione, amici e soprattutto abbiamo sentimenti, passioni e siamo pieni di desideri e pensieri, insomma siamo umani, siamo persone che hanno sbagliato e stanno pagando per ciò che hanno fatto, ma abbiamo tanta voglia di metterci di nuovo in gioco, stiamo lavorando per ricostruirci una nuova vita o semplicemente di riprendere a quella che abbiamo lasciato, ma facendo fuori scelte migliori.
Noi che siamo dall’altra parte della porta abbiamo deciso di non buttare la chiave della nostra vita, dobbiamo trovare quella chiave giusta per affrontare l’ultima battaglia della nostra vita e che ci permetta di vivere un’opportunità”.
Sara Pizzorni