Politica

Verso le Comunali: cinque anni
fa il record di liste uniche

In vista delle prossime elezioni amministrative dell’8 e 9 giugno, sarà  interessante verificare, con il deposito delle liste, quanti Comuni si troveranno nella condizione di disporre di una sola compagine amministrativa.

In attesa del riscontro, si può analizzare quanto avvenuto in passato in ambito provinciale. L’ultimo dato di raffronto utile è la tornata elettorale del 26 maggio 2019. In quell’occasione in ben 27 comuni della provincia cremonese i cittadini potevano contare solo su una lista in campo; nel complesso si stima che un quarto delle entità amministrative locali siano rette da una amministrazione priva di minoranza.

La situazione venutasi a creare manifesta quanto sia consistente la disaffezione tanto nell’affluenza alle urne, ridottasi di quasi il 20 %, quanto nella partecipazione attiva dei cittadini anche verso l’istituzione di maggior prossimità; un segnale che non può che preoccupare e che ha assunto proporzioni sempre più marcate negli ultimi appuntamenti elettorali.

Una comparazione fra le elezioni del 1995 rispetto alle ultime del 2019 evidenzia quanto sia mutato il quadro statistico e partecipativo; nel 1995 nei 95 comuni al voto (escludendo il capoluogo per evidenti difformità d’azione) si presentarono alla competizione elettorale ben 225 liste (una media di 2,4 per comune).

Se si eccettuano sette comuni dove si presentava una sola lista (Voltido, Cà d’Andrea, Paderno, Ripalta Guerina, Agnadello, Quintano e Castelgabbiano) nelle  rimanenti comunità l’offerta politica prevedeva, salvo rare eccezioni, una scelta fra una variegata composizione di liste in grado di rappresentare il “sentire” degli elettori. In cinque comuni si presentarono le liste di Rifondazione comunista mentre i “Popolari” raccoglievano, in alcune realtà, significativi consensi.

ELEZIONI CON LISTA UNICA NEL 1995

 

ELEZIONI CON LISTA UNICA NEL 2019

La maggioranza delle amministrazioni risultava appannaggio di compagini schierate a sinistra o di area affine dimostrando, in realtà, una maggior capacità di radicamento sul territorio. Nel tempo tale prerogativa si è lentamente ridotta tanto che diverse comunità storicamente roccaforti della sinistra hanno mutato orientamento politico.

Nelle elezioni successive il numero dei comuni con lista unica si è ulteriormente rinforzato (16 nel 1999, 11 nel 2004, 12 nel 2009, 16 nel 2014 e 27 nel 2019) rendendo necessaria una seria riflessione sulla  capacità di rappresentanza che purtroppo si rileva in tante comunità del territorio.

Quello che oggi appare come una sorta di vulnus al concetto pieno della democrazia rappresentativa, risultava assolutamente improponibile fino al compimento della Prima Repubblica; in quel contesto fortemente bipolare la rappresentanza dei due principali blocchi in campo (democristiano e sinistra) si esplicava anche nei comuni più piccoli.

L’impegno amministrativo veniva vissuto come una sorta di “missione” di elevata impronta ideologica che prevedeva una selezione ed un approdo dei potenziali addetti, frutto, spesso, di una lunga militanza.
Azzerata quell’esperienza politica si sono manifestati nel breve periodo i primi sintomi di uno scollamento che, nel tempo, avrebbe comportato una vera e propria diaspora dei cittadini dall’impegno civico. Il nuovo corso politico, caratterizzato da partiti sempre più “leggeri” e meno radicati sul territorio, ha reso meno pervasiva la presenza in loco di una rappresentanza in grado di sviluppare e garantire una continuità amministrativa.

L’elezione diretta del sindaco, unitamente alla giunta da lui indicata, ha conferito un ruolo di maggior responsabilità ma anche di rilevante discrezionalità nell’azione amministrativa. La ratio del nuovo impianto legislativo rispondeva anche alla necessità di rendere più rapide ed elastiche le procedure in modo da poter deliberare con tempistiche temporali assai ridotte.

Il conferimento di maggior poteri in capo alla giunta ha però svuotato o ridotto di gran lunga il ruolo del consiglio comunale ormai relegato ad un organo di mero controllo su un’attività approntata da un altro organismo. L’attività dei consiglieri risulta pertanto assai sminuita e, se non motivata da passione propria, finisce per produrre uno scollamento fra i diversi attori in campo.

Lo stesso numero dei consigli comunali, rispetto al passato, si è notevolmente ridotto rendendo ancor più sterile la già difficile azione della compagine di minoranza chiamata, al pari dei colleghi di maggioranza, a ratificare procedimenti di complessa articolazione o banali adeguamenti normativi.

La disciplina di partito che un tempo regolava l’attività dei componenti di una compagine amministrativa è stata spesso sostituita da un rapporto diretto che intercorre fra il candidato e l’aspirante sindaco.

Nei piccoli comuni le barriere ideologiche sono ormai assai allentate e, per ragioni di necessità, si perviene anche ad articolare formazioni prive di una netta identità politica.

L’assenza di una formazione di minoranza spesso può paradossalmente render più complessa l’attività di una amministrazione; una minoranza che svolge il proprio mandato in modo puntuale può rappresentare un pungolo per chi amministra e finisce per rinsaldarne le fila.

L’ assenza di un contraddittorio rischia invece di sfilacciare la compagine di maggioranza mettendone a rischio la solidità; in alcuni casi, infatti, la difficile coesistenza all’interno del gruppo ha comportato, alla successiva tornata amministrativa, la formazione di un gruppo alternativo scissosi dalla lista unica.

Fabrizio Superti

 

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