Delitto Gozzini, per l'imputato
chiesti 24 anni di carcere
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24 anni di reclusione per omicidio premeditato e per detenzione e porto illegale di arma. È la pena chiesta oggi dal pm Francesco Messina in Corte d’Assise a Cremona per Domenico Gottardelli, il 79enne idraulico di Covo, in provincia di Bergamo, che il 14 settembre dell’anno scorso aveva ucciso con un colpo di fucile l’amico di una vita Fausto Gozzini, 61 anni, nell’ufficio della sua azienda di Casale Cremasco, la Classe A Energy di via Camisano.
L’imputato, sottoposto a perizia psichiatrica, è stato giudicato pienamente capace di intendere e di volere, e nonostante considerato fragile, problematico e con diverse patologie, il suo stato non è incompatibile con il regime carcerario. Gli esperti hanno parlato di “un forte sentimento di rabbia e frustrazione. Il gesto dell’omicidio ha prodotto in lui un effetto liberatorio, una ritrovata serenità percepita dopo aver passato cinque anni ad avere pensieri ossessivi sul furto dei suoi soldi e sulla presunta relazione tra l’amico e la cameriera”.
Il 79enne è reo confesso. “Sì, ho sparato io”, aveva detto in udienza. “Chiedo scusa alla famiglia, ma non ce la facevo più. Sono scoppiato”.
La mattina del delitto aveva preso il fucile calibro 12 Beretta che deteneva illegalmente da 20 anni nel garage della sua abitazione (l’arma era di un amico e l’aveva portata via durante un trasloco), aveva preso la macchina e aveva raggiunto la vittima nella sua azienda. Due i colpi di fucile esplosi: uno era andato a vuoto, mentre l’altro, a distanza ravvicinata, aveva raggiunto Gozzini all’addome, uccidendolo. Tutto era avvenuto poco distante dalla moglie della vittima e da uno dei figli della coppia.
Se è “pacifico” che l’omicidio è premeditato, “sul movente”, ha precisato il pm, “regna una certa incertezza”. Gottardelli ha sempre sostenuto di aver ucciso l’amico perchè lo riteneva colpevole di essersi appropriato del suo denaro contante, 300.000 euro, soldi ricavati dalla vendita di una casa al lago e custoditi nel garage della sua abitazione. E lo avrebbe fatto con la complicità della domestica di Gottardelli, nonchè presunta amante di Gozzini. “Una versione che non appare convincente”, ha aggiunto il pm, che si è chiesto: “Perchè, allora, non ha mai licenziato la domestica o non ha mai denunciato la sparizione del denaro?”.
L’altro possibile movente è che Gottardelli avrebbe ucciso Gozzini perchè la vittima non voleva più prestargli la sua casa in Tunisia, dove l’imputato soggiornava per diversi mesi all’anno e dove avrebbe intrattenuto rapporti sessuali con minorenni. Lo avevano raccontato due testimoni, e cioè il factotum tunisino di Gozzini che si occupava della casa in sua assenza, e Luigi, il vicino di casa italiano, parlando di “un andirivieni di giovani minorenni”. Una situazione che, a detta del factotum tunisino, sarebbe stata la causa dei guai di Gottardelli con la giustizia tunisina. Gozzini aveva quindi deciso di non prestare più la casa all’amico, senza dargli spiegazioni sulla vera ragione della sua decisione. Accuse che però l’imputato ha respinto con forza. “In Tunisia ho avuto relazioni sia con maschi sia con femmine”, aveva detto in aula, “ma non minorenni mai. Se fai una cosa del genere in Tunisia ti arrestano e non sai più quando esci”.
Per il pm, vanno concesse le attenuanti generiche “in ragione di un comportamento processuale corretto: dopo l’omicidio l’imputato non è fuggito, ha ammesso subito le sue responsabilità e non ha precedenti per delitti dolosi contro la persona”.
Non così la parte civile, rappresentata dagli avvocati Emilio Gueli e Alessandro Pasta, del Foro di Bergamo, legali della vedova e dei due figli della vittima. In particolare l’avvocato Gueli ha citato una frase pronunciata in aula dalla moglie della vittima, che aveva definito l’imputato “Un lupo travestito da agnello”. Gli avvocati della famiglia hanno poi parlato di “comportamento processuale sprezzante” e di un omicidio “dall’intensità estremamente elevata”, se si pensa alla “determinazione e alla premeditazione e al fatto che sia accaduto davanti agli occhi della moglie e alla presenza di uno dei figli della vittima”. Per moglie e figlio, la parte civile ha chiesto un risarcimento di 400.000 euro ciascuno, mentre per l’altro figlio della coppia, 300.000 euro.
Infine la parola è andata alla difesa, rappresentata dagli avvocati Santo Maugeri, di Cremona, e Pietro Meazza, di Lodi. I legali hanno chiesto alla Corte la detenzione domiciliare in una Rsa, in quanto, per i difensori, l’età e lo stato di salute di Gottardelli, trapiantato di fegato, diabetico e con altre patologie, non sono compatibili con il regime carcerario. Il pm si è opposto. Ancora, per i legali della difesa, “la funzione della pena deve tendere alla rieducazione del condannato, ma Gottardelli non ha mai compreso il significato. Il carcere, l’anziano lo definisce “collegio”, mentre la cella “studio”, e ai suoi legali ha detto: “Io sto bislaccamente interpretando l’intermezzo come una piacevole vacanza”.
Il 26 settembre le repliche e la sentenza.
Sara Pizzorni