Caso Beccalli, giudici: "Vicenda
scellerata nella sua insensatezza"
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“Nessuno spazio vi è per una diversa qualificazione della condotta. Deve infatti essere tenuta ferma la sequenza che vede l’imputato colpire violentemente al capo la vittima, e quindi, constatatane la morte, trasportarne il cadavere in macchina in un luogo appartato, e lì, dopo molte ore, dargli le fiamme”. Così scrivono i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Brescia (presidente Giulio Deantoni, giudice relatore Massimo Vacchiano e 6 giudici popolari) che lo scorso 10 marzo, ribaltando la sentenza di assoluzione di primo grado, hanno condannato a 18 anni e 8 mesi Alessandro Pasini, 47 anni, cremasco, ritenendolo colpevole dell’omicidio di Sabrina Beccalli, la 39enne bruciata a Ferragosto del 2020 nella sua Fiat Panda nelle campagne di Vergonzana, a Crema.
Una sentenza arrivata grazie agli approfondimenti apportati dalle testimonianze dei consulenti tecnici del pm: l’anatomopatologa Cristina Cattaneo, Domenico Candia e Debora Mazzarelli; degli esperti incaricati dall’avvocato di parte civile Antonino Andronico: il generale Luciano Garofano e il brigadiere Edi Sanson; di Angelo Grecchi, medico legale degli avvocati Stefania Amato e Paolo Sperolini, difensori di Pasini; dei carabinieri del Ris e della vicina di casa che intorno alle 5 del mattino aveva sentito l’urlo di una donna chiedere aiuto.
Pasini e Beccalli si erano incontrati nella notte tra il 14 e il 15 agosto del 2020 nella casa di Susanna, ex compagna dell’imputato, per consumare droga. Nell’abitazione di via Porto Franco, a detta di Pasini, Sabrina era morta per una overdose e non per mano sua, mentre per la procura, il 47enne l’avrebbe condotta in quell’appartamento, probabilmente per avere rapporti sessuali. Dopodichè, in seguito ad una lite, lui ne avrebbe provocato la morte, causata da un’emorragia cerebrale seguita a un colpo violento al capo. In seguito aveva caricato sulla Fiat Panda il cadavere della vittima, dando fuoco all’automobile per occultare le tracce del delitto. Sempre con l’intento di cancellare le tracce, aveva anche cercato di far saltare in aria l’appartamento di via Porto Franco, tagliando il tubo di conduzione del gas della caldaia. Pasini ha sempre e solo ammesso di aver bruciato il corpo dell’amica e di aver tagliato il tubo del gas. Non di averla uccisa.
“Nulla”, per i giudici, “autorizza a ritenere, stante il distretto corporeo attinto e il comportamento successivo, che l’azione dell’imputato fosse orientata soltanto a provocare lesioni alla donna e che la morte sia intervenuta come evento non voluto. Ci si trova al cospetto di una vicenda scellerata nella sua insensatezza che ha visto l’imputato agire dapprima quale autore della inspiegata uccisione di una persona che pur dice essergli stata amica, e poi artefice di un freddo piano di dispersione di ogni traccia del delitto, secondo un piano che, nella sua prima definizione, prevedeva finanche di far saltare in aria la palazzina. Notevole, ma in senso negativo, è stata poi l’assoluta indifferenza dimostrata dall’imputato, che dopo l’omicidio si è rituffato nella cerchia di amici immediatamente disponibile alle bevute e alla consumazione di stupefacente. Anche la sorte da lui destinata al cadavere della sventurata Beccalli dimostra il prevalere di pulsioni egoistiche anche a dispetto dei più elementari sentimenti di pietà”.
Nelle 59 pagine di motivazione, i giudici sottolineano ancora la “gratuità del gesto omicida, scaturito nel contesto di una comune assunzione di stupefacenti e in un’atmosfera sicuramente alterata dagli effetti delle sostanze, nonchè dal comportamento tenuto dall’imputato successivamente al fatto, indicativo di distacco emotivo dalla gravità di quanto commesso e della ricerca di una personale via di fuga anche a discapito del sentimento, in tutti radicato, della pietà per i defunti”.
Ma se da una parte “il meccanismo del decesso rimane di natura indeterminata” a causa della dispersione di gran parte dei resti della donna, scambiata per la carcassa di un cane, dall’altra, come sottolineano i giudici, “lo stato dei reperti non ha impedito di giungere a conclusioni su cosa sia accaduto al capo di Sabrina, e dunque affermare che nel cranio vi erano tre fratture provocate da un’azione contundente esercitata con elevata energia quando la persona offesa era ancora in vita”.
Così i giudici hanno ricostruito: alle 4,30 l’incontro nell’appartamento tra Pasini e Beccalli, “il verificarsi in quei locali di un fatto, collocabile intorno alle 5, consistito in un’azione violenta ai danni della donna; il decesso di quest’ultima; il pronto attivarsi di Pasini per far sparire il cadavere; le successive operazioni per cancellare le abbondanti tracce di sangue; la definitiva soppressione del cadavere e dell’auto. Nella già rimarcata assenza di un’azione plausibile in grado di coniugare i dati di indagine in una ricostruzione alternativa rispetto a quella tracciata, e, in particolare, di accreditare la tesi di una morte naturale o accidentale di Beccalli, è quindi necessario pervenire alla conclusione che l’evento mortale è stato cagionato proprio da quella condotta violenta, da nessun altro agita se non da Pasini, i cui effetti si sono poi riscontrati sul cranio della vittima”. Quello dell’imputato, come si legge, è stato “un lucido piano di cancellazione delle tracce di quanto accaduto e di depistaggio”. Di sconosciuto, ammettono i giudici, è rimasto il movente. “Questo, però, non significa che un compendio indiziario reputato già idoneo a sorreggere l’accusa non possa condurre ad una pronuncia di responsabilità”.
Per l’imputato, che è libero dalla sentenza di primo grado, la difesa ricorrerà in Cassazione.
Sara Pizzorni