Stop all'impianto di biometano di Cremona
Alla fine l’impianto di biometano di Cremona verrà sottoposto a VIA (come normale che fosse), ma diciamolo a chiare lettere; la nuova ‘meraviglia tecnologica’ non servirà alla cittadinanza e al territorio e non porterà nessun beneficio, anzi.
Gli unici che brinderanno saranno i soliti. Come sempre. Non va abbassata la guardia e forse il momento di costruire il nuovo ‘Forte apache’, come evocato negli scorsi giorni, è proprio questo . L’obiettivo deve essere quello di ribadire in modo chiaro il NO a questo impianto e scardinare il modello di sfruttamento del territorio che rappresenta. Perché sul territorio ci sono altre opere impattanti come queste che incombono, come per esempio le 38 nuove trivelle in arrivo nel cremasco.
In un paese alla rovescia, il fatto di aver ottenuto quello che è previsto dalla legge fa gridare alla vittoria. La vittoria vera è quella di aver risvegliato, forse, qualche coscienza di qualche cittadino, ma il rischio è comunque quello di ritrovarsi comunque un impianto utile solo a chi fa profitto e che aggiungerà problemi ai cittadini.
È vero, la pressione mediatica ed il timore di avere un brutto ritorno di immagine, ha convinto A2a a rinunciare alla richiesta di non assoggettamento a VIA e sottoporsi “spintaneamente” all’iter dovuto e necessario per questi tipi di impianti, ma non vanno dimenticati due elementi fondamentali:
Il sindaco di Cremona, la sua giunta e la maggioranza in consiglio se non ci fosse stato il rischio di “negative Press” da parte degli organi di informazione non avrebbero mosso un dito e avrebbero fatto finta di nulla utilizzando sempre e solo il paravento delle compensazioni. Tanto è vero che fino a ieri nessuno aveva eccepito nulla e tutti avevano avvallato il modus operandi del richiedente e come nel Monopoli, pronti a passare all’incasso delle compensazioni, senza passare dal via.
La minoranza di centrodestra in regione Lombardia ha sempre confermato linee guida che sponsorizzano questi tipi di impianti, lasciando le provincie e comuni in una sorta di fare west senza una vera programmazione, e dichiarandoli, negli ultimi anni, fondamentali e strategici per chiudere il ciclo della forsu. La regione ha di fatto sempre evitato di riprendersi il ruolo di ente programmatorio, ha ignorato i vincoli legati al vero fabbisogno, e bocciato ad esempio ogni altra alternativa maggiormente sostenibile come la pratica del compostaggio di comunità.
Nella sostanza, ora che si va a VIA, ma la questione non cambia. Ovvero che in una città e in un contesto territoriale fortemente compromesso e con fragilità ambientali (certificate da infrazioni europee) e sanitarie (evidenziate dai numeri di ATS per patologie, tumori e morti premature) come quello cremonese, è inaccettabile solo ipotizzare un impianto di tali dimensioni e con obiettivi in pieno contrasto con gli interessi della salvaguardia del territorio. Al contrario, chi si concentra solo sull’aspetto procedurale continua a sostenere un modello di sfruttamento delle risorse che negli anni si è dimostrato impattante e devastante per gli equilibri produttivi, sanitari ed ambientali.
Dai partiti che amministrano la città e da quelli che sono al governo nazionale e in regione Lombardia, sarebbe importante sapere cosa ne pensano nello specifico di un modello di sviluppo che tiene in vita un inceneritore da 70mila tonnellate annue (con un import di rifiuti da fuori provincia oltre il 35%) e gli affianca un biodigestore da 94mila tonnellate. Il problema non è il processo amministrativo o il tipo di procedure, ma il fatto che la politica non si interroghi sul senso di questi tipi di impianti, delle filiere e del senso degli obiettivi dichiarati, che al netto delle belle parole, si riassumono in “ritorno economico”. L’ultimo governo Draghi ha messo sul tavolo 1,7 miliardi per finanziare queste iniziative. La politica dovrebbe prendersi la responsabilità di dire a chiare lettere che questi impianti, che vengono ripagati con soldi pubblici, e che vivono sullo scarto e sullo spreco, fanno male all’agricoltura e all’ambiente. Sottraggono ettari di campi alla produzione di cibo, drogano il mercato causando un aumento gli affitti dei terreni e hanno una impronta idrica e ambientale non sostenibile e non giustificata dalla emergenza energetica. A parlare sono i numeri. Grazie alle fonti alternative, nell’ultimo anno il consumo di gas in Italia è diminuito del 10% e sempre nel 2022, come certificano i dati del MISE, l’Italia ha esportato in Europa più di 4,5 miliardi di metri cubi di gas quasi tre volte in piu rispetto al 2021. I numeri ed il buon senso parlano chiaro: questo impianto non sa da fare ne qui ne là. I partiti oggi dicano in modo chiaro da che parte stanno senza ambiguità.