A dieci anni dalla morte del
carabiniere Sali, resta il giallo
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Sono passati dieci anni dalla morte del carabiniere di quartiere Giovanni Sali, 48 anni, di Castelleone, deceduto in servizio a Lodi nel novembre del 2012 per due colpi di pistola diretti al torace. Nel 2017 il gip, accogliendo la richiesta della procura, aveva archiviato il caso, che come ipotesi di reato riportava l’accusa di omicidio volontario. Un vero e proprio mistero, quello che si consumò poco dopo le 17,30 di quel sabato 3 novembre 2012 nella zona di via del Tempio, quando i proiettili ferirono a morte il militare di quartiere, trovato a terra in divisa con accanto la sua pistola ancora legata al cinturone con il cordino di sicurezza, in una strada non lontana dal centro. Un terzo proiettile centrò un box a circa 50 metri di distanza.
Ad uccidere il militare, colpi sparati dalla sua stessa arma. La conseguenza di una colluttazione? Cosa accadde quel giorno? Un agguato? O magari un controllo sfociato in violenza? Remota, ma mai esclusa definitivamente dai pm lodigiani, a causa dell’assenza di prove certe, l’ipotesi suicidio. Un’ipotesi, quella del gesto estremo, che è sempre stata respinta con forza dai familiari del carabiniere. Chi lo conosceva, ha sempre parlato di Giovanni Sali come di una persona solare. Sarebbe apparso di buon umore anche quel giorno. Lo ribadì anche la figlia Erica, che parlò anche di pasta pesata e di una pentola d’acqua pronte per la cena nella casa del carabiniere, che viveva da solo.
Anche secondo il gip non fu un suicidio, ma le indagini svolte, anche se accurate, non sono state in grado di indicare con certezza cause e modalità della morte.
Sara Pizzorni