Accorpamento Camere di Commercio,
il mondo economico torna a dire no
Sembra destinata a non conoscere la parola fine la vicenda degli accorpamenti delle tre camere di Commercio di Pavia, Cremona e Mantova. Una storia avviata nel 2016 e non ancora conclusa, per la sostanziale ostilità dei territori e delle rispettive categorie economiche a mettere a rischio la propria autonomia.
L’ultimo passaggio è di queste ore, con la lettera consegnata dalle categorie economiche e sindacali della provincia di Pavia al commissario straordinario della locale Camera di Commercio Giovanni Merlino, che la inoltrerà al presidente della regione Fontana e ai parlamentari pavesi e alle istituzioni del territorio, compresa la Prefettura”. Esaurite quindi le vie legali, si tenta quindi la strada politica per contrastare una decisione che – guarda caso – era stata decretata ad agosto 2017 dall’allora ex ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, oggi tornato al centro della politica italiana con il suo partito, Azione, che alle elezioni del 25 settembre correrà insieme al Pd.
“La Camera di commercio è delle associazioni – ha dichiarato il pavese Merlino – e le associazioni sono le imprese alle quali devo sempre rispondere”.
Il decreto per la riforma e il riordino delle Camere di commercio prevedeva che il numero delle Camere di Commercio passasse da 95 a 60 e le aziende speciali dalle 96 attuali a 58.
“Il decreto razionalizza e rende più efficiente l’intero settore – aveva commentato Calenda all’epoca -. La riforma porterà risparmi importanti, una più razionale riallocazione del personale, maggiori servizi alle imprese e una rimodulazione dell’offerta anche in relazione alle opportunità del piano Industria 4.0”. gbiagi