Cultura

Arci San Bernardino: ieri
sera con Giovanni Impastato

Dopo l’incontro a cui aveva partecipato lo scorso febbraio al Torriani di Cremona, Giovanni Impastato torna in questo territorio, per presentare il libro Mio fratello. Tutta una vita con Peppino, edito da Libreria Pienogiorno e parlare della storia di Peppino Impastato, ucciso dalla mafia il 9 maggio 1978. Nella giornata di ieri, prima in una scuola di Treviglio, nel pomeriggio alla Primaria di Ripalta e ieri sera al Circolo Arci San Bernardino, accolto da una numerosa partecipazione di cittadini, per un evento reso possibile dalla collaborazione con la Libreria La Storia di Simona Lunghi e con la Tavola per la Pace della Val Brembana.

Nella breve introduzione Franco Bordo ha evidenziato come in questo territorio gli affari illeciti si fanno, ed è per questo che mafia e legalità sono temi “che ci toccano e sui quali ancora non c’è coscienza collettiva e bisogna lavorare per questo”.
Giovanni Impastato esordisce parlando delle difficoltà affrontate nella stesura di questa pubblicazione, che sostanzialmente rende pubblico ciò che è più privato, senza alcuna volontà di togliere nulla rispetto a quello che sulla figura di suo fratello è stato fatto fino ad ora: “Non c’è volontà di togliere, ma di aggiungere a tutto quello che si è fatto, qualcosa di inedito, per far conoscere la storia di Peppino”, commenta Giovanni Impastato, che si dice riconoscente per quanto ha rappresentato il film del regista Marco Tullio Giordana, che testimonia quanto il cinema, anche oggi, sia un grande mezzo di comunicazione.

Nel racconto di Giovanni Impastato, l’infanzia con Peppino e la graduale consapevolezza di vivere in un contesto famigliare nel quale forte era la presenza mafiosa. Racconta dello zio Matteo, “galantuomo di quei tempi, a cui non piaceva la mafia e non piaceva lo zio Cesare”. Nonostante la differenza di età con il fratello, racconta com’è avvenuta l’acquisizione da parte di Peppino di una forte coscienza politica ed ideologica, le lotte comuniste, quelle pacifiste, il contesto storico e sociale, che in quel periodo circoscriveva il fenomeno mafioso nella sola Sicilia, prima della svolta con il passaggio della mafia, dalle campagne alle città, le lotte contadine e, mano a mano, lo svilupparsi della figura del fratello, erede di quel movimento contadino meridionale, dice Giovanni Impastato.

La definitiva presa di distanze dal mondo mafioso, in Peppino Impastato avviene nel 1963, dopo l’uccisione di uno zio, nell’ambito di un regolamento di conti di stampo mafioso. È da quell’evento di sangue che parte la vera svolta nella vita di Peppino Impastato: l’esperienza del giornale ciclostilato e la sua chiusura forzata, il ripudio da parte del padre, l’impegno a favore dell’ambiente, quando di ambiente parlavano in pochi e l’importanza di insegnare alla gente cos’è il paesaggio, prima della sua distruzione, magari a causa del tracciato di una strada per favorire gli interessi di certi proprietari terrieri o le ragioni della cementificazione selvaggia. Ma nel racconto di Giovanni Impastato c’è anche la società degli anni sessanta e settanta, dal calcio alla musica, con una nota di tristezza: “Era scomparsa la cultura contadina, ma non quella mafiosa”. E su questo argomento torna più volte, perché se oggi Cinisi non è quella che ha assistito all’uccisione del fratello, non c’è stata ancora una vera e propria svolta: “Il problema è la cultura mafiosa, la necessità di ricostruire un tessuto sociale demolito”. A
tal proposito, ricorda che l’associazione che negli anni porta avanti il ricordo del fratello e che ora gestisce a Cinisi, “Casa memoria Felicia e Peppino Impastato”, per la prima volta è riuscita ad entrare in una scuola per incontrare gli alunni, solo nel 1994 e lo stesso consiglio comunale, ha pensato di ricordare il fratello solo dopo il successo cinematografico de “I cento passi”.

Dalla Sicilia alla Lombardia: “Ora c’è più mafia in Lombardia che in Sicilia, pechè la mafia è dentro lo Stato” ed un’ultima annotazione che Giovanni Impastato riserva alla parola legalità. “Preferisco l’espressione giustizia sociale, rispetto alla parola legalità, che ha prodotto nelle scuole anche tanti errori”, conclude Giovanni Impastato, che poi torna sul problema culturale, sull’importanza di andare nelle scuole, sui messaggi positivi da dare ai giovani e chiude citando don Milani e la possibilità di disubbidire ad ogni forma di ingiustizia.

Ilario Grazioso

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