Cronaca

Sabrina: "Sentenza fatta su racconto
surreale". Procura ricorre in Appello

La procura di Cremona ha impugnato la sentenza emessa lo scorso 29 ottobre dal gup Elisa Mombelli nei confronti di Alessandro Pasini, il 46enne cremasco assolto dall’accusa di aver ucciso Sabrina Beccalli, la 39enne bruciata a Ferragosto del 2020 nella sua Fiat Panda nelle campagne di Vergonzana, a Crema, e condannato a 6 anni solo per distruzione di cadavere e incendio. Per Pasini, che è un uomo libero, il pm aveva chiesto la condanna a 28 anni di carcere. Per il gup, però, non c’erano prove della responsabilità dell’imputato in un’indagine “viziata dal clamoroso errore” di aver scambiato la vittima con un cane e con “la irrimediabile dispersione di gran parte dei resti della donna”. Per il giudice, inoltre, l’ipotesi difensiva era “processualmente plausibile”, in quanto “non  in contrasto con le risultanze probatorie”. La tesi dell’imputato “è apparsa spontanea e genuina” e il lavoro della difesa “ha offerto interpretazioni alternative, esse stesse dotate di plausibilità scientifica”.

Non così per il procuratore Roberto Pellicano, che nelle 9 pagine del ricorso in Appello nel quale chiede la condanna per omicidio, sottolinea come “il giudice abbia enfatizzato il rilievo di alcune circostanze che sono state mal valutate e hanno fuorviato la decisione”. Giusta, per il procuratore, la valutazione del ragionevole dubbio maturato sulla base delle due contrapposte ricostruzioni di accusa e difesa: per la prima, la morte della Beccalli determinata da una “non meglio precisata azione violenta di Pasini”, mentre per la seconda seguita ad una overdose, ovvero ad un malore. Tuttavia, “un effettivo confronto di verosimiglianza tra le due diverse ipotesi non è stato svolto”.

“Nella sentenza”, scrive il procuratore, “il giudice parla di compatibilità con un malore, in altri casi di compatibilità con overdose da stupefacenti, ed in un’altra parte ancora vi è un tentativo di conciliare la negazione dell’insieme degli elementi indiziari di accusa con una artificiosa ricostruzione dei fatti. Dovendosi fondare unicamente sulle dichiarazioni dell’imputato, ne viene fuori, più che una credibile alternativa, un racconto surreale e quasi fantastico, talmente è sfornito di dati di fatto”.

Il procuratore cita l’errore, “effettivamente grossolano” del veterinario, che avrebbe, secondo il giudice, impedito di accertare la causa della morte. “Il giudice”, scrive Pellicano, “come abbagliato dall’episodio, gli conferisce una forza attrattiva in grado di dissolvere ogni elemento indiziario a carico dell’imputato. Dall’errore sembra derivare la patente di attendibilità che il giudice attribuisce alle dichiarazioni dell’imputato, il quale, avendo ammesso di aver bruciato il corpo della vittima, ha realizzato quel colpo di teatro che ha capovolto l’intero scenario, inducendo il giudice a superare l’iniziale giudizio di inattendibilità”.

Al contrario, per il procuratore, le dichiarazioni rese dall’imputato sono “vere soltanto nelle parti che le indagini avevano ormai già accertato e di cui egli aveva piena conoscenza. In tale contesto si inserisce e va valutata l’ammissione di Pasini di aver bruciato il corpo di Sabrina: niente affatto come un contributo alle indagini, e tanto meno come chiave di lettura per affermare l’attendibilità di Pasini”.

Per quanto riguarda l’impossibilità di accertare la causa della morte in conseguenza dell’errore commesso dal veterinario, con la conseguente perdita di circa il 65% del corpo, il procuratore, basandosi sugli esiti della consulenza tecnica disposta dal pm, sottolinea che “l’impossibilità di addivenire alla causa della morte non deriva tanto dalla parziale dispersione delle ossa, quanto piuttosto dallo stato dei reperti esaminati, scheletrizzati e carbonizzati in conseguenza dell’incendio appiccato dall’imputato”. Per il procuratore, l’aver reso impossibile l’accertamento della causa della morte è la più logica e coerente spiegazione della condotta dell’imputato dell’aver dato fuoco al cadavere, piuttosto che quella, creduta dal giudice, di un gesto irrazionale provocato dal panico”.

Secondo la consulenza tecnica, inoltre, Sabrina Beccalli aveva subito un trauma cranico in vita poco prima di morire. “Quadro che”, per il procuratore, “poco si accorda con l’ipotesi di una morte naturale o di natura chimico tossicologica, così come mal si attaglia la distribuzione degli schizzi e delle macchie di sangue della Beccalli rinvenute nell’appartamento e sulle scale, di fronte alle dinamiche prospettate dall’imputato con la perdita di sangue da naso e bocca per gli effetti della cocaina assunta”. “La consulenza medico legale del pm”, precisa il procuratore, “ipotizza l’uccisione violenta della vittima. Si tratta di valutazioni effettuate con criteri scientifici. Nell’incertezza, prima di bilanciare tali importanti dati con dichiarazioni vaghe e inverosimili, il giudice avrebbe potuto chiedere chiarimenti agli stessi consulenti tecnici o nominarne uno di ufficio”.

Nella notte tra il 14 e il 15 agosto del 2020 Pasini e la Beccalli si erano incontrati nella casa della ex compagna di Pasini per consumare droga. Nell’abitazione di via Porto Franco, a detta dell’imputato, Sabrina sarebbe morta per una overdose e non per mano sua. Per la procura, invece, il 46enne aveva condotto Sabrina in quell’appartamento per avere rapporti sessuali. Dopodichè, in seguito ad una lite, lui ne aveva provocato la morte “con modalità violente”.

“Siamo andati a letto”, racconterà Pasini. “Avevo anche bevuto, mi sono mezzo addormentato, sono mezzo svenuto, ho sentito anche un rumore. Ho pensato: ‘Che cavolo starà facendo, ma non ci ho dato peso. Poi mi sono rialzato, ho visto de sangue in terra, ho fatto il corridoio, ho visto del sangue, ho visto delle macchie anche sul muro, sono arrivato in fondo al corridoio, il mobile in lavanderia era caduto in terra e ho visto Sabrina che era a faccia in giù, dentro nella vasca da bagno. Ho provato a scuoterla, niente. Sono andato in panico. Mi sono fatto ancora le due ultime botte che c’erano sul tavolo”.

Per il procuratore, “l’alternativa all’evento morte violenta per mano dell’imputato nonostante una frattura alla mandibola, il sanguinamento, il tonfo, le grida di soccorso sentite dalla vicina, la distruzione del cadavere diventa un fenomeno inafferrabile a metà strada tra un non meglio definito malore fulminante ed una caduta a faccia in giù sulla vasca da bagno, in un contesto di epistassi. Tutto accaduto alla presenza di un imputato inconsapevole perchè mezzo svenuto e mezzo addormentato, proprio e solo durante quel preciso lasso temporale”.

Sara Pizzorni

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