Cronaca

Due anni fa iniziò la pandemia:
il ricordo del dottor Cuzzoli

Sono passati due anni da quel famigerato 20 febbraio 2020, quando per la prima volta tra i corridoi degli ospedali di tutta Italia, iniziò a serpeggiare quel termine, “paziente zero”, diventanto in poco tempo la certezza di un incubo.

Quel giorno era stata la dottoressa cremonese Annalisa Malara a riscontrare per la prima volta il Coronavirus nel 38enne Mattia, giunto in ospedale a Codogno per una grave crisi respiratoria.

“Ricordo bene la prima notizia: intorno all’una ci arrivò il primo dato certo, l’inizio della pandemia” evidenzia il dottor Antonio Cuzzoli, ex direttore dell’ospedale di Cremona. “Ricordo il timore e la paura. Ma nessuno di noi si immaginava che sarebbe stata una simile catastrofe. Ci aspettavamo un temporale forte, ma non così violento”.

La notizia era rimbalzata in breve tempo nei nosocomi lombardi, e in particolare in quello di Cremona, dove comunque già da qualche tempo si stavano riscontrando delle polmoniti con strane caratteristiche. Immediatamente erano scattate tutte le misure di sicurezza del caso: il pronto soccorso di Codogno era stato chiuso, e nel nostro territorio erano scattati i tamponi per i pazienti ricoverati in pneumologia. E’ stato così che poche ore dopo era emerso il primo caso covid anche sotto il Torrazzo, quello di una ragazza ricoverata da alcuni giorni.

“I primi giorni sono stati i più importanti e drammatici di tutta la catastrofe Covid” continua Cuzzoli. “Soprattutto noi a Cremona che siamo stati tra i primi. Fu un errore chiudere l’ospedale di Codogno: questa chiusura si è riversata su Cremona, Piacenza e Pavia e questo ha permesso la propagazione del virus, che si muove con le persone. Noi non avevamo la possibilità di curare i pazienti. Sono stati giorni eroici e drammatici”.

La situazione era precipitata nel giro di poco, con l’isolamento prima di Castiglione d’Adda e Codogno, successivamente di tutta la Lombardia, con quel terribile lockdown durato tre mesi, scandito dal suono continuo delle sirene delle ambulanze, che correvano avanti e indietro lungo le strade del territorio, nel disperato tentativo di salvare vite.

In quel dramma i medici e gli infermieri sono stati i primi protagonisti. “Non ci siamo mai riposati. Ricordo ancora di non essere mai andato via dall’ospedale per i primi 23 giorni” spiega il medico. “E come me tanti altri colleghi. Tutta la squadra del pronto soccorso e dell’ospedale. La risposta di Cremona è stata una risposta eroica e forte”.

In questi due anni, “avremmo dovuto imparare di più” sottolinea ancora Cuzzoli. “Avremmo dovuto attuare una riforma sanitaria e territoriale. I medici di medicina generale sono stati il più alto numero di morti per categoria. Mandati all’arma bianca senza una strutturazione adeguata”.

Anche per questo bisogna guardare avanti e imparare dagli errori: “La medicina territoriale deva cambiare. Bisogna darle più armi. Non si può continuare a dare tutte le risorse solo agli ospedali: i cittadini devono trovare risposte già nel territorio. Il covid si poteva contenere se avessimo messo in atto la risposta delle tre T. Quanto siamo riusciti a testare, tracciare e trattare? Troppo poco. La risposta sanitaria non può essere con la vigile attesa e la tachipirina” attacca ancora Cuzzoli.

“Questo deve farci riflettere. Perché non abbiamo messo in in atto una risposta di rete prima dell’evento, visto che comunque il covid ce l’aspettavamo, considerando che la Gazzetta Ufficiale del 1 febbraio aveva già sancito un’emergenza sanitaria? Avremmo dovuto contenere in maniera diversa la prima fase. La Lombardia ha avuto quasi 40mila morti. E ora dovremmo essere l’esempio da analizzare, per costruire i miglioramenti. Il rischio clinico in sanità rappresenta la fase analitica principale per avviare un processo migliorativo. Bisogna organizzare tavoli tecnici con le competenze giuste per creare nuovi aspetti di risposta sanitaria. La risposta territoriale va integrata con quella ospedaliera, altrimenti si resta sempre su livelli paralleli ma mai integrati” conclude Cuzzoli.

In questi due anni in provincia di Cremona si sono registrati 68.631 casi di Covid e sono morte 1.639 persone. Gli attualmente positivi sono 20.200 (ultimo dato fornito da Ats ValPadana). La maggior parte dei decessi, in ogni caso, si sono concentrati nella prima ondata, quella più terribile e letale: 1.126, su 6.662 casi: in sostanza, un sesto degli ammalati sono morti. Questa ultima ondata, la più virulenta, ha finora contato 41.281 casi e 122 vittime, con un tasso di mortalità dell’1,3%.

Laura Bosio

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