Covid, truffa su misure sostegno,
indagato anche un cremonese
Anche un cremonese è finito nei guai nell’ambito dell’operazione “Free Credit”, messa in campo dalla guardia di finanza di Rimini e coordinata dalla Procura, che ha portato a disarticolare un complesso sodalizio criminale ramificato in tutto il territorio nazionale e dedito alla frode fiscale. Gli indagati sono ritenuti responsabili di aver creato e commercializzato falsi crediti di imposta, per 440 milioni di euro, sfruttando indebitamente le misure di sostegno emanate dal Governo con il decreto rilancio (D.L. 34/2020), durante la fase più acuta dell’emergenza sanitaria da Covid-19 per aiutare le imprese e i commercianti in difficoltà.
L’imprenditore cremonese, fanno sapere dalla Guardia di Finanza, era un membro attivo della banda, e si occupava del reimpiego dei capitali di provenienza illecita. L’uomo, poco più che 30enne, è stato oggetto della misura di interdizione dall’attività di impresa e ha subito il sequestro di due immobili.
Sono state 80, in tutta Italia, le perquisizioni, e 35 le misure cautelari personali eseguite, di cui 8 in carcere e 4 ai domiciliari nonché 23 interdittive. Di queste, 20 sono state interdizioni all’esercizio di impresa nei confronti di altrettanti imprenditori e 3 all’esercizio della professione nei confronti di altrettanti commercialisti.
I finanziari hanno altresì sequestrato falsi crediti, beni e assetti societari. Tra gli indagati, in 9 avevano presentato domanda di reddito di cittadinanza e 3 avevano precedenti di polizia per associazione a delinquere di stampo mafioso.
Sarebbero 56 complessivamente i membri dell’associazione, i quali si sono avvalsi di 22 prestanomi, ha un nucleo centrale di 12 persone, oggi sottoposti a misure cautelari custodiali, tra imprenditori e commercialisti.
L’indagine. A mettere in allarme i finanzieri è stato un episodio in particolare, ossia una presunta “cessione di crediti d’imposta”, effettuata da una società coinvolta in altro procedimento penale per reati fallimentari.
L’analisi sull’origine dei crediti effettuata dalle Fiamme Gialle incrociata con le indagini sul campo e la valorizzazione delle segnalazioni per operazioni sospette, ha consentito di appurare come si trattasse di crediti inesistenti per carenza di requisiti. Da lì è nato il nuovo filone investigativo che fin dallo scorso mese di giugno ha consentito il monitoraggio dell’organizzazione criminale fin quasi dalla sua genesi e in tutti i passaggi di sviluppo, verificando come la stessa fosse totalmente dedicata alla creazione e commercializzazione di falsi crediti di imposta, successivamente monetizzati cedendoli a ignari acquirenti estranei alla truffa, portati in compensazione con conseguente danno finale alle casse dello Stato.
Il modus operandi dei criminali. Tre le casistiche di crediti fittizi: Bonus locazioni, Sismabonus e Bonusfacciate. I malviventi si appoggiavano a professionisti compiacenti, che reperivano società attive in grave difficoltà economica, utili alla creazione degli indebiti crediti d’imposta. Il rappresentante di diritto di tali società veniva sostituito con un prestanome, da cui si ottenevano le credenziali per poter inserire le comunicazioni di cessioni crediti nell’area riservata del sito dell’Agenzia delle Entrate, così da avere uno schermo in caso di futuri accertamenti.
Le comunicazioni venivano poi inserite dichiarando di aver pagato canoni di locazione superiori agli effettivi (persino oltre il 260.000%) o effettuato lavori edili mai iniziati, così da generare crediti di imposta non spettanti. Infine i crediti di imposta venivano ceduti a società compiacenti e successivamente a società terze inconsapevoli, così da rendere più difficile la ricostruzione.
Il profitto dei reati è stato in parte investito in attività sia commerciali che immobiliari, come il subentro nella gestione di ristoranti e l’acquisto di immobili e di quote di partecipazioni societarie. In parte invece è stato veicolato, attraverso una fatturazione di comodo, verso alcune società partenopee per essere monetizzate in contanti.
E ancora, parte degli importi è stata trasferita su carte di credito ricaricabili business, con plafond anche di 50.000 euro e prelevato in contanti presso vari bancomat, impiegato per finanziarie società a Cipro, Malta, Madeira, convertito in cripto valute e investito in metalli preziosi ed in particolare nell’acquisto di lingotti d’oro.
In fase di esecuzione dei sequestri, ritenendo plausibile che alcuni indagati potessero fare ricorso a botole e intercapedini in cui custodire contanti e preziosi, sono stati impiegati i cosiddetti “cash dog”, unità cinofile addestrate a fiutare l’odore dei soldi.
Le forze impiegate. Per l’operazione la Guardia di Finanza di Rimini è stata supportata da 44 Reparti territoriali, nonché della componente aerea del Corpo, del supporto tecnico dello S.C.I.C.O e del Nucleo Speciale Frodi Tecnologiche, per un totale di oltre 200 militari, che hanno operato contemporaneamente in Emilia Romagna, Abruzzo, Basilicata, Campania, Lazio, Lombardia, Marche, Puglia, Sicilia, Toscana, Trentino e Veneto.
Laura Bosio