Morti Covid, procuratore: "Approccio
imprudente in alcune Rsa"
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Nella relazione sull’amministrazione della Giustizia per l’anno 2020/2021, il procuratore di Cremona Roberto Pellicano ha dedicato un ampio spazio alla difficile e delicata indagine sulle morti per sospetto Covid avvenute nei mesi di piena emergenza sanitaria.
L’inchiesta si è concentrata anche su otto Rsa: Cremona Solidale, Cingia dè Botti, Sospiro e Casalbuttano, strutture dove le morti sono state circa 300, Fondazione La Pace Onlus di via Massarotti a Cremona, la Casa di riposo “Villa Sacro Cuore – Coniugi Preyer” di Casalmorano, la Fondazione Benefattori Cremaschi di via Kennedy a Crema e la Fondazione Casa di Riposo Ospedale dei Poveri di Pandino, strutture dove si sono registrati decessi pari a circa il 20% dei degenti.
In alcune strutture, scrive il procuratore, “è stato accertato un contegno positivo tenuto da parte degli organi dirigenziali, i quali (già dalla dichiarazione di stato d’emergenza) si erano preventivamente attivati nella ricerca di approvvigionamenti di dispositivi di protezione”. Altre Rsa, invece, rispetto alla gestione della diffusione del virus, “hanno avuto un approccio in alcuni casi imprudente”, altre ancora “imperito”.
In tutto sono 80 i fascicoli aperti in procura originati da esposti, querele, segnalazioni.
Per gli esposti presentati contro le istituzioni italiane ed europee, la procura ha chiesto l’archiviazione, “in ragione della genericità e dei fatti descritti e delle lamentele sollevate, o, comunque, in mancanza di posizioni univoche assunte da parte della comunità scientifica in ordine alla diffusione e alla prevenzione della malattia Covid-19”.
Per altri esposti le indagini non sono ancora finite, anche se, sottolinea il procuratore, “si è resa comunque evidente la difficoltà, anche con riguardo alle realtà più critiche, circa l’attribuzione di responsabilità a singole persone fisiche con un ruolo dirigenziale (di fatto o di diritto) all’interno della struttura”. “Sotto il profilo della colpa”, scrive Pellicano, “paiono evidenti gli ostacoli rappresentati dalla prevedibilità e dalla evitabilità, riscontrata la difficoltà nell’ottenere dalle autorità preposte, chiare e specifiche linee guida o indirizzi volti alla predisposizione di adeguati protocolli operativi, sia nell’approvvigionamento di dispositivi di protezione, all’epoca della prima ondata, di difficile reperimento”. Sulle ipotesi di reato di singole lesioni o omicidi colposi, “pare oltremodo difficile ricondurre i singoli eventi alle condotte (eventualmente colpose) poste in essere da parte di individuate persone fisiche in termini di nesso causale. Difatti, in assenza di esami autoptici accertanti la causa della morte, e, comunque, di comprovate certezze scientifiche in ordine alla malattia Covid 19 relative, tra le altre, a modalità e facilità di contagio, evoluzione della patologia, possibilità di attuazione di attività terapeutiche o assistenziali e relativi effetti salvavita, risulta eccezionalmente arduo collegare oggettivamente condotta ed evento secondo la regola del giudizio contro fattuale”.
Uno degli esposti presentati riguardava un caso in un istituto scolastico. “Al momento”, si legge nella relazione, “pende l’indagine volta ad acquisire tutti gli elementi utili all’accertamento dei fatti, sia sotto il profilo dell’evento – entità del contagio in struttura – sia in ordine alla presenza di eventuali profili di colpa circa la condotta tenuta da parte degli organi dirigenziali rispetto alla gestione del rischio contagio”.
Altri sono esposti presentati dai familiari di 13 persone decedute per Covid. “La grande maggioranza di tali segnalazioni”, spiega il procuratore, “lamentava carenze in ordine all’apporto terapeutico e assistenziale fornito al deceduto da parte dei diversi sanitari (medici di base, operatori in struttura Rsa, sanitari ospedalieri). Le indagini si sono concentrate sull’accertamento del fatto mediante l’acquisizione di tutta la documentazione medica, tra cui cartelle cliniche, il diario infermieristico e Fasas, nonchè attraverso l’esecuzione di una consulenza tecnica medica volta alla ricostruzione della vicenda clinica del paziente. Particolare attenzione è stata posta in ordine all’accertamento dell’origine del contagio, del profilo dell’omessa diagnosi e sull’attività assistenziale offerta”.
Al momento, per 11 procedimenti è stata chiesta l’archiviazione, per gli altri 2 sono tuttora in corso gli accertamenti.
“In generale”, ha concluso il procuratore, “è risultato estremamente complesso l’accertamento circa l’origine del contagio – nella quasi totalità dei casi risultato dubbio – mentre, con riguardo ai profili dell’omessa diagnosi e dell’attività terapeutica e assistenziale fornita, ostacoli si sono palesati in ordine al profilo causale. Sul punto, difatti, sebbene in alcuni casi si siano evidenziate condotte colpose in capo ai sanitari, in ragione, da un lato, dell’assenza di una terapia efficace contro la malattia Covid-19 , dall’altro, del quadro anamnestico del paziente affetto da poli patologie croniche, non si è potuto affermare che l’attuazione di particolari accorgimenti terapeutici o assistenziali avrebbero evitato, con la richiesta certezza, il decesso dello stesso”.
Per quanto riguarda invece il Covid sul luogo di lavoro, a Cremona le indagini aperte sono state 55. Per 52 è stata chiesta l’archiviazione. Si tratta di indagini nate dalla trasmissione dei certificati Inail relativi agli infortuni e ai decessi per Covid nelle imprese, ma anche negli ospedali (Asst di Cremona e Crema), nell’Ats Val Padana e nelle Rsa. Nell’accertare i fatti, la procura ha verificato il numero di contagi in relazione al numero totale dei dipendenti della struttura, nonchè la cronologia dei contagi, verificando il periodo di massima incidenza.
Le indagini riguardanti Ats Val Padana e le Asst di Cremona e di Crema, “sebbene abbiano evidenziato la presenza di un cluster esteso ai dipendenti affetti dalla malattia Covid-19”, scrive il procuratore nella relazione, “hanno altresì permesso di ricostruire le attività organizzative e gestionali poste in essere dalle rispettive figure dirigenziali finalizzate al contenimento e controllo del cosiddetto rischio contagio”. L’archiviazione è stata chiesta in quanto “non sono emersi evidenti profili colposi anche in ragione del dato temporale che vedeva la quasi totalità degli infortuni concentrarsi nel periodo tra i mesi di marzo e maggio 2020, periodo di prima e massima diffusione dell’epidemia”.
Sul fronte degli infortuni nelle Rsa o negli enti assimilabili, dei 26 procedimenti aperti, per 23 è stata chiesta l’archiviazione. “Le indagini hanno evidenziato in alcuni casi l’assenza di un cluster tale da poter essere evidenziato quale elemento indiziante l’origine lavorativa del contagio, in altri, l’assenza di profili colposi in capo all’agire delle varie figure dirigenziali”.
Sara Pizzorni