Cronaca

Afghanistan verso il collasso,
l'intervista esclusiva a Toni Capuozzo

L’Occidente in Afghanistan ha fallito. Due le ragioni: non si può esportare la democrazia; la guerra, quella militare, non è mai una soluzione per un Paese. Ne parla il giornalista Toni Capuozzo in un’intervista rilasciata in esclusiva a Cremona1 e Cremaoggi.

Cosa possiamo fare noi occidentali, che abbiamo contribuito a determinare questa situazione, ora che l ‘Afghanistan rischia il collasso e una gravissima crisi umanitaria?

“In questo momento credo che ci sia una sola cosa da fare: evitare che l’Afghanistan collassi. E’ il minimo comune denominatore che unisce gli Stati Uniti, il grande sconfitto, l’Europa, la Russia, la Cina, l’ Iran. Nessuno di questi Paesi ha interesse che l’Afghanistan diventi una nuova Somalia divisa con migliaia di afgani che fuggono all’estero. Specie l’Europa teme un flusso migratorio incontrollabile e ingestibile. Il G20 voluto da Draghi, virtuale, ha concordato sull’unica strada possibile: quella di convogliare gli aiuti attraverso le Nazioni Unite che sono il grande carrozzone che conosciamo ma sono anche l ‘unica struttura che consente di uscire da un dilemma non risolto: “Riconosciamo realisticamente l’Afghanistan come l’Afghanistan dei talebani oppure non lo riconosciamo? Qual’ è la via migliore per aiutare la difesa dei diritti delle donne o la difesa di un minimo sindacale?” L’Europa ancora no ha saputo rispondere a questa domanda rivolta a se stessa. In questo momento le Nazioni Unite sono l ‘unico canale per tenere in piedi l’Afghanistan che è in mano ai talebani; perche’ se crollasse, come un castello di carta, sarebbe molto difficile per tutti nel mondo.Non possiamo permettercelo”. 

C’è chi sostiene, pur non volendo legittimare e riconoscere il regime dei talebani, che sia necessario trattare e dialogare con loro per aiutare il popolo afgano e chi invece propende per la linea dura. Nessun dialogo con chi non riconosce i diritti. Lei come la pensa?

“Io credo che le posizioni di principio valgano poco, non si fa altro che restare immacolati in un mare di fango. Credo che si tratti di decidere quale sia la via più opportuna per tentare di fare l’unica cosa che conti: provare a difendere le donne, i giovani, i minori, gli afgani che non accettano di esser governati dai talebani; se riconoscere (che non vuol dire legittimare) e mandare un ambasciatore e accettare che abbiano un rappresentante delle Nazioni Unite, oppure non riconoscerli. Io francamente non ho una barriera ideologica e credo non si debbano avere. Bisogna solo stabilire quale sia la via migliore per difendere i più deboli. In questo momento gli unici strumenti di pressione che abbiamo sono i soldi. I soldi degli afghani congelati nelle banche estere. Noi li dobbiamo usare per ricattare. Se vogliono i loro soldi devono garantire alcuni diritti fondamentali, l’educazione primaria, secondaria e superiore alle bambine. In questo momento non abbiamo strumenti di pressione militari o diplomatici. Abbiamo solo le chiavi della cassaforte. Un ricatto semplice e brutale. E’ l’unica leva che abbiamo. Oppure usare la loro voglia di entrare nei salotti buoni e vedere riconosciuto il loro potere per ottenere qualcosa in cambio”. 

Questione diritti. A pagare il prezzo piu’ alto le categorie più fragili: donne e bambini. Bambine vendute per sfamare la famiglia, donne che non possono piu’ lavorare e andare all’Università o semplicemente praticare uno sport (pensiamo alla pallavolista della nazionale afgana decapitata perché voleva continuare a praticare la pallavolo)”.

I talebani dicono: dateci tempo e vedrete che siamo cambiati. C’è da fidarsi?

“Non c’è da fidarsi ma neanche illuderci che in questi 20 anni l’Afghanistan sia stato un paradiso. E’ stato il luogo in cui le donne finalmente hanno potuto andare a scuola e trovare un lavoro; ma è stato il luogo in cui continuavano ad esistere i matrimoni combinati, il burqa per le donne, anche laddove i talebani erano fuorilegge. I talebani sono pessimi ma sono la versione estrema, radicale, di una cultura e di un modo di intendere la religione che è propria del popolo afgano. Che ci piaccia o no io il burqa l’ ho sempre visto, anche a Kabul. Quando entravo nei villaggi poi le donne erano davvero dei fantasmi, nelle case erano confinate in una stanza, mai vista in un villaggio una donna senza burqa. Ad Herat, nella struttura dei grandi ustionati, l’80% dei pazienti era costituito da donne che si bruciavano per protesta ai matrimoni combinati anche ai tempi in cui c’erano i contingenti internazionali con i talebani fuori legge. Non siamo precipitati dall’eden all’ inferno. Siamo semplicemente passati dalla padella alla brace”.

Secondo lei si poteva prevedere quello che è successo in Afghanistan con la presa di Kabul a ferragosto da parte dei talebani, salutati da alcune frange della popolazione come i veri liberatori e le forze alleate come i repressori?

E’ così. Gli afgani non sono dei vigliacchi come poteva sembrare vedendoli scappare a ferragosto, né degli eroici combattenti (i talebani hanno vinto dopo 20 anni di guerra a piedi scalzi). Sono persone la cui qualità piu’ forte è l’arte di sopravvivere a chiunque sia al comando. Quando c’era l’Occidente hanno saputo mungere dai loro aiuti. Si sono adattati ai soldi che arrivavano. L’ afgano normale ha la grande resilienza di sapere sopravvivere a chiunque sia al potere. Ed è quello che faranno anche questa volta”. 

Sabrina Grilli

 

 

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