'Attacco allo scuolabus' La paura e il coraggio dei 51 ragazzi delle medie Vailati
Firmato dal regista Claudio Camarca ripercorre la terribile giornata vissuta dagli studenti, il loro spirito di squadra e la rinascita che hanno messo in atto, ancora, tutti insieme.
“Fate schifo. Ci state massacrando. Adesso basta, deve finire”. La vicenda del sequestro del bus con a bordo 51 studenti delle medie Vailati di Crema, due professori e una bidella inizia così. Queste sono solo alcune parole del video che Ousseynou Sy rivolge agli italiani.
Nel filmato, Sy ha il volto coperto. Di lì a poche ore avrebbe caricato sull’autobus due taniche di benzina e sarebbe andato a prendere i ragazzi con un coltello in tasca.
Il docufilm “Attacco allo scuolabus” andato in onda questa sera sul Nove a firma del regista Claudio Camarca, ripercorre i fatti accaduti quel terribile 20 marzo 2019.
“Ci siamo seduti e abbiamo iniziato a scherzare. Poi abbiamo visto che la porta era chiusa da dentro e l’autista ci intima di sederci, pensavamo fosse solo un po’ scorbutico”. Sy tira fuori il coltello: è l’inizio dell’incubo. La benzina sparsa a terra, due dei ragazzi e un professore vengono fatti sedere davanti, come ostaggi, dopo che gli altri sono stati costretti a legarsi l’un l’altro con fascette da elettricista.
Sy mostra un accendino: “Oggi facciamo un bel giretto”. I passeggeri pensano a uno scherzo, a un errore, ma il bus esce dalla città e si dirige verso Milano. Ha sequestrato i cellulari, ma Chiara e Ramy, due studenti, riescono a nasconderli sotto i giubbotti.
Mentre i compagni creano un rumoroso diversivo, Ramy contatta il 112; i carabinieri, inizialmente, pensano a uno scherzo di pessimo gusto. Poi Nicolò prende il cellulare e, con una lucidità incredibile per un 13enne in quella situazione, riesce a descrivere il percorso che sta tenendo il bus: “L’autista ha un coltello in mano, c’è benzina ovunque. Fate veloce!”
I militari si attivano e in pochi minuti rintracciano il pullman all’altezza di Pantigliate. Sy perde il controllo e minaccia di dar fuoco a tutto. “E’ stato un momento in cui abbiamo pensato che sarebbe stata l’unica e ultima occasione”. In rinforzo arrivano altre pattuglie e nel frattempo in città inizia a diffondersi la notizia.
“Piangevamo, urlavamo. Avevamo paura di morire bruciati”. Sy intima, al telefono con i carabinieri, di allontanarsi e di non sparare perché il bus è pieno di gasolio. Poi annnuncia di volersi dirigere a Linate, sulla pista dell’aeroporto.
I militari tentano una manovra detta “ad elastico”, volta a rallentare la corsa del bus, impendendogli anche l’accesso alle uscite della Paullese, mentre Sy continua a speronarli e la benzina fuoriesce pericolosamente. Una folle corsa a 100 all’ora e basta una scintilla per far saltare tutto.
E’ a quel punto che i carabinieri eseguono una sola, immediata, azione: una pattuglia si pone di traverso al bus, fermandolo. I militari, velocemente, spaccano i vetri e aiutano i primi ragazzi a scendere. Ma Sy non si arrende e riparte, speronando l’auto dei carabinieri per 70 metri. E’ allora che uno di loro sterza violentemente, riuscendo a sbattere contro un furgoncino e incastrando così anche il pullman, mentre i ragazzi non smettono di uscire. “Non pensavamo a niente, solo a correre lontano”.
Il bus prende fuoco, ma loro sono salvi, grazie a un coraggio riconducibile forse solo ad alcuni adulti, grazie a un lavoro di squadra che ha permesso di uscire da una situazione disperata senza neppure una vittima. “Nessuno pensava per sè. Volevamo salvarci solo tutti insieme. E’ così che ragionano gli amici”.
Sy viene estratto dalle lamiere in fiamme, dice che gli dispiace, ma che “doveva farlo”. In manette, viene portato via.
I ragazzi si abbracciano, piangono e ridono, si confortano: essere vivi è una vittoria. “Ci siamo seduti e lì abbiamo preso coscienza di quanto accaduto”. Si stringono, come i calciatori dopo un gol, come la squadra che sono. Seguono mesi di incubi, di fastidio estremo nel sentire odore di benzina, di aiuti psicologici.
“Sarebbe sbagliato se dimenticassimo, perché è un’esperienza che cambia il modo di vedere la vita. Ma non potevamo restare per sempre su quel bus. Siamo salvi per merito di tutti”.
Sy, in primo grado, è stato condannato a 24 anni di carcere. Il 7 e il 9 aprile è fissato il processo d’Appello.
Ambra Bellandi