Lettere

Avere più laureati in politica
è importante ma non può essere
lo spartiacque tra incapacità
e bravura

da Jacopo Bassi
Qualche giorno fa ho sentito Milena Gabanelli, che considero una delle migliori giornaliste nel panorama dell’informazione italiana, presentare un servizio in cui lamentava la mancanza di laureati tra i candidati alla prossime elezioni regionali.
Gli ultimi anni hanno visto glorificare l’impreparazione in politica, creando il grottesco mito del “buon incompetente”, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Se, quindi, la richiesta di maggior preparazione nei candidati alle elezioni mi sembra del tutto legittima, associarla esclusivamente al possesso di una laurea mi pare una grave semplificazione.
In primo luogo perché avere una laurea non è sinonimo di competenza politica. Conosco bravissimi ingegneri, medici e avvocati, e le loro lauree non sono direttamente spendibili nell’agone politico, a differenza che nel lavoro. Certo, le loro conoscenze sono importanti, ma devono essere applicate a uno sistema di valori, a una visione del futuro, al riconoscimento in una tradizione di pensiero.
Tutto questo lo si impara con la formazione politica e civica. Nei partiti, ma anche nelle associazioni di categoria, di volontariato, religiose ecc. E cioè in tutte quelle realtà che permettono a un cittadino di toccare con mano le questioni pubbliche e su di esse formare il proprio sguardo sul mondo.
Avere più laureati in politica, e cioè persone che hanno svolto un percorso che gli ha fatto acquisire rilevanti conoscenze e competenze, è di certo importante, ma il titolo di studio non può divenire il supremo criterio spartiacque tra incapacità e bravura politica. Se imbocchiamo questa strada rischiamo di mettere in dubbio una delle grandi conquiste del secolo scorso, ovvero l’accesso alle cariche pubbliche anche per le persone che non hanno purtroppo avuto la possibilità di studiare (e che dunque lo Stato non ha aiutato abbastanza). Un operaio, un agricoltore, un artigiano che non hanno svolto un percorso di studi qualificato ma che, nel loro lavoro, hanno dimostrato di interessarsi alla cosa pubblica con un punto di vista di qualità non possono essere esclusi a priori da una competizione elettorale.
Così facendo si corre il rischio di una deriva elitaria, che porta pericolosamente all’aggravarsi della frattura tra popolo e classi dirigenti.

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