Fioccano anche a Cremona le denunce dei parenti dei morti di Covid in Rsa e ospedali
Sono numerosissime le denunce che in questi giorni sono state depositate negli uffici della procura della Repubblica di Cremona da parte dei familiari di anziani morti nelle Rsa cremonesi o negli ospedali. Non solo: denunce sono arrivate anche presso gli uffici della Questura e del comando dei carabinieri. Molte ne arriveranno anche attraverso il Codacons e altre ne stanno arrivando attraverso altri canali, come ad esempio il comitato “Noi denunceremo”, composto dai parenti dei morti di Covid. Questa mattina il presidente del Comitato Luca Fusco, insieme al Consiglio Direttivo ed alcuni parenti delle vittime, hanno consegnato alla procura di Bergamo le prime 50 denunce relative alla gestione dell’emergenza Coronaviurs. Per ora le denunce inoltrate al comitato ed al vaglio degli avvocati sono circa 200 provenienti da ogni parte d’Italia: Bergamo, Brescia, Torino, Parma, Reggio Emilia, e anche Cremona. Le denunce riguardano soprattutto la mancata informazione dei pazienti e dei loro parenti dei rischi legati all’infezione soprattutto durante la prima fase dell’emergenza; l’assenza dei dispositivi di sicurezza nelle strutture sanitarie, la mancanza di una medicina del territorio efficace e tempestiva per la gestione dei pazienti Covid a domicilio.
Tra chi ha presentato denuncia attraverso il comitato c’è anche il cremonese Cristian, che ha perso papà Renato, 80 anni, un uomo “pieno di vitalità e indipendente”, il 20 marzo scorso. “Il 27 febbraio”, ha ricordato il figlio, “papà ha cominciato ad avere febbre alta 38°/39°: il giorno dopo abbiamo chiamato il medico di base: è venuto a casa e ha diagnosticato una forte influenza e prescritto antibiotici e Tachipirina. Dopo 11 giorni di febbre, la situazione era letteralmente precipitata; abbiamo deciso, quindi, di chiamare il 112: dopo aver aspettato un’ora al telefono, finalmente siamo riusciti a far arrivare l’ambulanza e ricoverarlo all’ospedale Maggiore di Cremona. Il 9 marzo scopriamo che è positivo al Covid-19 e viene collocato nel reparto di Nefrologia. Fortunatamente mio padre sapeva effettuare le videochiamate: così è riuscito ad informarci che sarebbe stato trasferito alla clinica San Giuseppe di Milano. Il giorno successivo è stato trasferito nel reparto di Pneumologia in terapia sub intensiva. Dalle videochiamate vedevo che era molto agitato e preoccupato, con la paura di essere solo e abbandonato, aveva la maschera d’ossigeno e casco C-pap. Tutte le sere alle 18.00 telefonavo in reparto e la dottoressa con molta professionalità mi ripeteva sempre le stesse condizioni di salute: “grave ma stabile”. Lunedì 16 marzo alle 14.00 mi chiama la dottoressa dicendomi che dalle ultime lastre l’infezione era peggiorata e che era opportuno sedarlo con morfina. Giovedì 19 marzo, festa del papà, è entrato in coma ed il 20 alle 12.45 ci ha lasciati”. “Mi sembra ancora tutto surreale”, ha continuato a raccontare Cristian, “che se ne sia andato senza nessuno della famiglia al suo fianco che avesse potuto rincuorarlo. Mi hanno sempre insegnato sin da piccolo che prevenire è meglio che curare: con questo chiedo anch’io giustizia per il rispetto di mio padre, nato all’epoca della guerra e morto solo come un cane”.
Sara Pizzorni