Cronaca

Coronavirus, i 100 giorni che sconvolsero Crema e la vita dei cremaschi

Sono passati 100 giorni da quando, all’ospedale di Codogno, è stato riconosciuto ed accertato il primo caso italiano di coronavirus in Italia. Da quel 21 febbraio, in oltre tre mesi, la provincia di Cremona ha pianto 1.105 vittime e ha visto il contagio di 6.448 persone (secondo i dati diffusi da Regione Lombardia, ndr).

Già dal giorno successivo sono stati certificati da Regioni i primi casi in provincia di Cremona, l’istituzione della zona rossa per i comuni del lodigiano ha reso delicata la situazione nelle zone di confine presidiate dai militari dislocati nei centri abitati e ai varchi di accesso.

foto sessa

I numeri – persone – crescevano, gli ospedali del territorio sono andati in grande affanno, ad un passo dal punto di rottura. Sono riusciti a reggere, anche grazie all’intervento di americani (a Cremona) e cubani (a Crema) con i rispettivi ospedali da campo e al lavoro inestimabile degli operatori sanitari.

Mascherine, guanti, gel igienizzanti hanno iniziato ad accompagnare le giornate di chi ha dovuto continuare a lavorare, prestando un’opera preziosa, durante i primi giorni di lockdown e poi di tutti, quando le misure restrittive hanno cominciato ad allentarsi un po’.

Ma anche la crisi economica che accompagna l’emergenza sanitaria sta ridisegnando e ridisegnerà Cremona, con una cassa integrazione (report Cisl) che ha visto oltre il 50% di ore richieste in più rispetto alla crisi del 2008. Una crisi che ha messo in ginocchio parecchie attività. Con inoltre un ‘rimpallo’ di responsabilità tra Regione e Inps-Governo che non ha aiutato che si è trovato a casa improvvisamente senza entrate.

Una gestione pasticciata che si è potuta vedere anche nella questione Rsa: destinatarie di pazienti Covid (in presenza di determinate garanzie), ma che sono state chiuse solo l’8 marzo, nonostante qualcuna – autonomamente – aveva deciso di bloccare gli accessi ai parenti degli ospiti. Una scelta non facile, che tocca anche il tema dell’impossibilità di un ultimo saluto alle vittime.

In mezzo a tanto dolore e tante difficoltà, però, ci sono state storie straordinarie (la guarigione del 18enne Mattia, il lavoro degli operatori sanitari, il dipinto durante l’intervento chirurgico, solo per fare qualche esempio) e una solidarietà che si è fatta più forte, rappresentata dalle raccolte fondi, quella di ‘Uniti per la provincia di Cremona’ in primis, ma anche da una solidarietà più immediata, fatta di piccoli gesti e attenzioni.

La voglia di ripartire si è vista chiara e forte in questa settimana di allentamento delle misure del lockdown, il desiderio di una normalità che però sarà inevitabilmente fatta da separé in plexiglass, mascherine e distanziamento. C’è voglia di uscire, voglia d’estate, come dimostrano le persone che hanno invaso il centro invase e che hanno costretto ad emettere una nuova ordinanza dettata dalla prudenza e dalla paura di una nuova diffusione del virus, la peggiore delle ipotesi possibili. E anche questo – prudenza e paura – per un po’ rimarrà nelle vite di tanti, se non tutti, i cremaschi, inevitabilmente segnati e condizionati dalla triste esperienza Covid.

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