Cronaca

False coop e frode fiscale Per l'imprenditore Giancarlo Giavardi chiesti 5 anni

Pene tra i due anni e mezzo e i cinque anni. Queste le richieste di condanna del pm per i quattro imputati coinvolti nel procedimento su frode fiscale e false cooperative che vede tra gli accusati Giancarlo Giavardi, imprenditore di Pandino residente a Cremona per il quale il pm ha chiesto la pena maggiore: cinque anni. Le difese, invece, hanno chiesto l’assoluzione.

Per la procura, Giavardi, ex presidente onorario della nota associazione di volontariato City Angels di Milano, sostenitore della struttura di accoglienza per donne ‘Casa Silvana’ e destinatario del premio ‘Il dono dell’umanità’, aveva messo in piedi un’associazione a delinquere specializzata nelle frodi fiscali sfruttando false cooperative di lavoro con un giro di milioni di euro. Il quadro accusatorio parla della gestione di 14 cooperative con oltre 300 dipendenti impiegati in varie aziende di macellazione e lavorazione di prodotti alimentari tra Lombardia, Emilia Romagna e Veneto. Cooperative in realtà fittizie, secondo quanto scoperto dalle indagini, senza alcuna parvenza di vita sociale o mutualistica.

Quantomeno dal dicembre del 2006, gli imputati avevano costituito e diretto un’attività di impresa con la quale affittavano la manodopera di una numerosa forza lavoro mediante contratti di appalto con ditte committenti (per un fatturato complessivo tra il 2007 e il 2012 di 58.842.473 euro), dissimulando l’attività di impresa con la costituzione del consorzio Cogemas Italia di Cremona e di 14 cooperative in capo alle quali suddividevano suddiviso i lavoratori dipendenti e prive dei tipici requisiti mutualistici. L’inchiesta parla di lavoratori che sulla carta figuravano come soci e che ignoravano completamente i loro diritti.

Secondo la procura, “sulle cooperative venivano fraudolentemente traslati i ricavi dell’attività imprenditoriale mediante l’emissione, da parte delle cooperative e nei confronti del consorzio, di fatture per operazioni inesistenti per 54.558.242 euro, con le quali si rappresentavano come prestazioni di servizio le prestazioni di lavoro subordinato rese dai lavoratori dipendenti. Gli oneri tributari venivano annullati mediante l’annotazione nella contabilità delle cooperative di costi falsi derivanti da fatture per operazioni inesistenti, pari a 80.785.732 euro per gli anni 2007/2012, consentendo all’organizzazione di indicare nelle dichiarazioni annuali ai fini delle imposte dirette e dell’Iva per gli anni 2007/2011 costi falsi per 59.840.649 euro, procurandosi così un indebito risparmio fiscale di quantomeno 12.537.463 euro”. Il provento del reato era poi prelevato dai conti correnti di tutte le cooperative ed era in parte destinato a retribuire le ore di lavoro in nero dei dipendenti, e in parte a pagare gli imputati.

In aula, Giavardi si era difeso ammettendo di aver fatto del nero, ma sostenendo di non sapere delle false fatturazioni. Giavardi aveva puntato il dito contro Salvatore Di Nunzio, fiscalista campano, arrestato a Napoli nel febbraio 2018 perché accusato di riciclaggio di denaro per conto della camorra. Era lui, per Giavardi, attraverso il sistema  ‘Passepartout’, a portare i dati da inserire nei computer. Anche Di Nunzio era imputato in questo processo, ma da subito la sua posizione è stata stralciata.

La sentenza è prevista per il 3 marzo.

Sara Pizzorni

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