'Organizzazioni agricole che fanno, altre che disfano': Voltini replica alla Libera
Ci risiamo. Dopo una fragile tregua nel flebile tentativo di conciliare le posizioni delle organizzazioni agricole cremonesi almeno per cercare di salvare la Fiera di Cremona, da qualche settimana è ripartita la polemica. Nel mirino della Libera Associazioni Agricoltori, la Coldiretti, il Consorzio Agrario e l’Associazione Nazionale Allevatori della Razza Frisona.
Ovviamente non si è fatta attendere la dura risposta di Paolo Voltini, presidente provinciale della Coldiretti. In una lettera aperta agli agricoltori cremonesi che già nel titolo “Organizzazioni che fanno, organizzazioni che disfano” ne indica il contenuto, rivendicando alla Coltivatori Diretti il ruolo di essere l’unica organizzazione agricola che fa proposte mentre la Libera Associazione Agricoltori ha come unico scopo quello di contrastare la Coldiretti “a prescindere dagli interessi del settore e dei suoi stessi soci”. Riportiamo integralmente il testo della lettera aperta agli agricoltori cremonesi.
“Cari Agricoltori cremonesi, da grandi imprenditori e tenaci lavoratori quali siete, vorrei invitarvi ancora una volta a riflettere su ciò che fanno le organizzazioni di categoria del nostro settore. Quando un agricoltore sceglie di associarsi a Coldiretti, Confagricoltura, Cia lo fa per molteplici ragioni, ma la più importante è quella di sentirsi rappresentato negli interessi suoi e della sua categoria. Il pluralismo, anche delle organizzazioni di categoria, dovrebbe costituire un valore, consentendo di esprimere una varietà di posizioni utili al confronto sui temi e sui problemi da risolvere. Tra le associazioni agricole, invece, questo non succede poiché il confronto tra organizzazioni da anni non esiste più perché …..manca l’oggetto del confronto. C’é una sola organizzazione che propone.
Gli agricoltori se ne sono accorti e – lo chiedo anche a voi – ci sarà una ragione per cui il 75% delle imprese agricole italiane, dalle più grandi alle più piccole, aderisce a Coldiretti?
Non lo dico per presunzione. I numeri che certificano il declino delle altre organizzazioni sono evidenti ed hanno delle spiegazioni altrettanto evidenti. È sufficiente leggere le due ultime sparate di Confagricoltura (Libera) per capire che si tratta di un’associazione che oramai è votata ad un solo, unico ed inutile obiettivo: quello di osteggiare e contrastare sistematicamente tutto ciò che fa Coldiretti, a prescindere dagli interessi del settore e dei suoi stessi soci.
La posizione su Anafij e su Aia è emblematica. Quando si è trattato di affrontare il pesantissimo taglio dei finanziamenti pubblici al sistema allevatori, anziché lavorare per un progetto di ristrutturazione e di rilancio di Aia, Confagricoltura ha scelto di “abbandonare la nave”, pur senza proporre un progetto alternativo valido e credibile. Ora che la riorganizzazione di Aia è stata portata a termine da Coldiretti, con inevitabili sacrifici, e che sono state garantite importanti risorse pubbliche per la attività istituzionali, la sola risposta che Confagricoltura è in grado di offrire ai propri allevatori è quella di invitarli a non pagare le quote Anafij, tanto per privarli di un fondamentale supporto tecnico nella gestione della loro attività. E pur di affossare il tutto, avanti con ricorsi ed iniziative ben lontane da ciò che i loro associati chiedono. Si fanno le cose tanto per disfare, senza mettere in campo nulla di propositivo. Capita poi – e non è un caso – che gli allevatori della Libera non seguano la loro organizzazione. È sintomatico il fatto che diverse aziende siano state convinte a mandare la disdetta da Aral, salvo poi ritirale un mese dopo per accedere ai servizi della stessa. Risultato: nel passaggio da Apa ad Aral, in provincia di Cremona sono state solamente due le aziende Libera che hanno confermato l’uscita dal sistema allevatori.
L’ultima “perla” è invece ben rappresentata dalla vicenda del grano Senatore Cappelli, per il quale Confagricoltura si è data la pena di ricorrere all’Antitrust per contrastare l’acquisizione delle royalities da parte di SIS, che fa parte del sistema dei Consorzi Agrari, che a detta de La Provincia (bontà loro) equivale a Coldiretti. La vicenda in questo caso è di livello nazionale ma ha avuto ampio risalto sul giornale di partito della Libera. La decisione dell’Antitrust che ha condannato SIS è stata giubilata come una vittoria, ma anche in questo caso i soci Confagricoltura (Libera) dovrebbero chiedersi quale sia il vantaggio di una simile iniziativa per la loro impresa.
A parte il fatto che la questione – ne sono convinto – si risolverà in una bolla di sapone (ndr: non è la prima volta che l’Antitrust prende una cantonata), bisognerebbe ricordare che il grano duro della varietà Senatore Cappelli era praticamente sconosciuto ai consumatori italiani fino a che SIS non ne ha rilevato i diritti e fino a che non è stato messo in filiera, con contratti di fornitura stipulati con i migliori pastifici italiani. Il prezzo riconosciuto ai produttori è cresciuto come non mai anche perché ha ottenuto un apprezzamento ed una risposta dal mercato che prima non aveva mai avuto. Prima di SIS il grano Senatore Cappelli non se lo filava nessuno e valeva quel che valeva. Nessun produttore cremonese lo seminava e nessuno trovava la pasta fatta con quella semola nei supermercati.
I soci Libera dovrebbero chiedersi quale brillante successo abbia ottenuto la loro organizzazione impegnandosi in questa azione “contro Coldiretti”.
Se la risposta è quella che tutti pensiamo, non credo sia necessario aggiungere altro. La porta di Coldiretti continua a restare aperta per quelle imprese che dai loro rappresentanti si aspettano iniziative ed azioni costruttive, nell’interesse loro e dell’agricoltura italiana.
Buona domenica a tutti
Paolo Voltini