Cronaca

La riflessione del vicesindaco Gennuso sulla doppia genitorialità

Ho deciso di condividere delle brevi riflessioni sia perché stimolato da recenti vicende accadute nel Comune dove risiedo (la trascrizione dell’atto di nascita di alcuni bambini, da parte della sindaca di Crema, in quanto figli di una coppia omosessuale) sia perché ritengo importante contribuire alla discussione su temi molto importanti che attraversano sensibilità diverse ma che accomunano tutti nell’esperienza umana.
Vorrei iniziare la mia riflessione riprendendo anche io il riferimento classico alla tragedia Antigone di Sofocle: nel dramma che l’autore descrive troviamo da un lato Creonte, che incarna in Sofocle la legge dello Stato, dall’altro l’eroina Antigone, che si appella a “leggi non scritte, incise nel cuore degli uomini”, che però contravvengono alle norme delle Stato. Mutatis mutandis, e applicando il riferimento (come, appunto, alcuni hanno fatto) alla questione di Crema, da un lato ci sarebbero coloro che, seguendo l’esempio di alcune altre municipalità in Italia, estendono “la legge dello Stato” anche a casi “limite” come quello della genitorialità per coppie omosessuali (non contemplata dalla giurisdizione vigente); dall’altro lato ci sarebbero le Antigoni moderne che si appellano alla “legge non scritta” per cui, in ultima istanza, è la natura stessa a dirci che un bimbo può nascere solo da un uomo e una donna e, per quanto lo Stato voglia farci pensare diversamente, le cose non si possono proprio cambiare.
Eppure oggi la “capacità generativa” non sempre coincide con “il ruolo genitoriale”, la scienza ormai (che ci piaccia o no) consente di sganciare queste due dimensioni così “naturali” ed è allora proprio qui che si deve sperimentare la bellezza del rinnovamento di una lettura illuminata di quanto l’uomo stesso determina, non per condannare ma per indirizzare, comprendere, accogliere, regolare, tutelare.
Lo Stato deve quindi osservare l’evolvere della società nel suo complesso cercando di fornire adeguate risposte che possano garantire tutti, ma soprattutto i più deboli in un percorso angusto di ricerca di un equilibrio (non sempre facile e scontato) tra i diritti che anche per me non sono né devono essere identificati con i desideri.
Diritti contro desideri, leggi non scritte contro leggi scritte.
Ecco, io non credo che la questione possa essere posta in termini tanto semplicistici e oppositivi.
In quanto amministratori – di piccoli paesi, di città e di Stati interi – il nostro compito è, anzitutto, quello di estendere quanto più possibile la sfera dei diritti e di tutelare con particolare cura chi è più debole – come i bambini – e perciò ha bisogno di maggiori protezioni. L’adozione da parte di coppie omosessuali è, come noto, non contemplata dalla giurisdizione italiana; espressamente vietata è, inoltre, nel nostro Stato la gestazione per altri, sia in forma volontaria sia (tanto più) in forma retribuita.
Dal momento che, però, viviamo in un mondo globale e (alla luce delle regolamentazioni assai diverse, da Stato a Stato, sulla materia) non rari sono i casi in cui coppie residenti in Stati che vietano la gestazione per altri si recano in paesi che la permettono (per seguire la gravidanza) e poi fanno ritorno nel paese di provenienza, si pone chiaramente un enorme, stringente, drammatico problema: che cosa fare, in che modo tutelare e quali diritti offrire ai bambini che nascono da gestazione per altri e poi fanno ritorno con i loro genitori nel nostro Paese?
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è stata chiamata più volte, negli ultimi anni, a esprimersi su casi di questo tipo: la situazione è molto complessa, le linee guida in evoluzione e, per ogni caso, si cerca di entrare nel merito e nella specificità delle singole situazioni. A ogni modo, l’equilibrio che la CEDU sempre ricerca (e che è molto difficile da raggiungere) è tra l’interesse fondamentale del bambino e la salvaguardia del diritto di ogni singolo Stato di legiferare autonomamente sulla questione “gestazione per altri”.
Non ci si stupisca se, in questo mio commento a quanto accaduto a Crema, non faccio pressoché riferimento alla questione “coppia omosessuale”, come primo nodo della discussione: non credo, infatti, che questo sia il punto. Non ho intenzione di appellarmi qui a nessuna “legge non scritta” che stabilisca la priorità della famiglia cosiddetta “tradizionale”, fatta da maschio e femmina. Il mio punto, da amministratore, è invece quello della tutela delle parti deboli: in questo caso i bambini (che ci sono già, e perciò vanno senz’altro tutelati, garantiti, riconosciuti e legittimati in quanto membri di un nucleo familiare) e (almeno in linea teorica: di questo dirò più avanti) la donna che, per conto dei genitori, ha messo al mondo questi bambini. Il ricorso alla gestazione per altri, infatti, è come noto assai più comune tra coppie eterosessuali che tra coppie omosessuali; l’omosessualità della coppia genitoriale, dunque, non è qui il mio primo argomento di discussione.
E qui vengo alla seconda considerazione di questo mio commento.
Nel merito (cioè nell’estensione dei diritti e nella tutela della parte debole già esistente, i bambini) l’atto del sindaco di Crema è sostanzialmente condivisibile (come conseguenza necessaria – se veramente necessaria: va sempre valutato caso per caso – di un atto che, stante la legge vigente, resta comunque illegale in Italia, cioè la gestazione per altri). L’estensione dei diritti arricchisce e accresce la città, rafforza la comunità. Per quanto Creonte possa forse starci antipatico, è entro il perimetro dello Stato che si esercita il diritto e la giustizia, e si difendono i deboli.
Bisogna dare atto alla Sindaca di Crema di aver riacceso il dibattito su temi bioetici rilevanti (e non è cosa da poco!) assumendosi anche una responsabilità personale, ma talvolta sono anche necessari azioni forti per riportare l’attenzione dell’opinione pubblica su questioni che riguardano nel profondo la vita delle persone.
E proprio per questo mi permetto di spendere qualche parola in più, però, sulla pratica di gestazione per altri che sta a monte del nucleo familiare costituito dai due cittadini lombardi (e dai loro bambini) al centro di questa vicenda.
E’ un tema delicatissimo che accomuna ciascuno di noi in quanto ciascuno di noi è figlio e quindi ha avuto una madre, e un proverbio ebraico recita “Dio non poteva essere dappertutto, così ha creato le madri” caricando di un alone di sacralità il ruolo della madre, di ciascuna madre.
Nel caso in questione appare evidente che anche la donna che ha portato avanti la gravidanza, infatti, figura (tanto quanto i piccoli) come parte da tutelare: troppo numerosi sono stati e continuano a essere i casi di donne di paesi poveri costrette per mancanza di risorse a “cedere” o “prestare” il loro corpo per ospitare ovuli fecondati da altri, “incubatrici” per bambini che non vedranno mai. Il riconoscimento di un diritto (anche, eventualmente, “forzando” la legislazione vigente) non ci esime dal rilevare che, all’altro capo della questione, c’è una situazione delicata in cui un altro diritto potrebbe essere leso, cioè il diritto della donna. La gestazione per altri (o “maternità surrogata” o “utero in affitto”) è illegale in ogni sua forma in Italia, e tale occorre che rimanga. Si tratta e si è già trattato (in molti casi accaduti in passato) di una modalità perversa di sfruttamento del corpo femminile, che finisce per monetizzare (o costringere a monetizzare) persino ciò che abbiamo di più nostro e intimo, il grembo che porta la vita. Ma i bambini nati da gestazione per altri non sono di per sé i colpevoli di queste pratiche ignominiose! Come regolarsi, allora? In che modo far avanzare il diritto di alcuni (come senz’altro si deve) senza avallare il disconoscimento del diritto di altri?
Si tratta di situazioni molto complesse, che mettono in gioco quanto di più importante e intimo c’è per l’essere umano: il corpo, la sessualità, i figli, la vita. Occorre, da un lato, garantire i diritti delle parti deboli coinvolte – anzitutto i bambini e la donna -, dall’altro lato lavorare per l’arricchimento della comunità e delle tutele di cui godono i suoi membri, senza pregiudizi. Non ho risposte pronte, né soluzioni generali per risolvere una volta per tutte le questioni: credo che nessuno, di fronte a questi dilemmi, abbia la verità in tasca, sempre pronta e sempre adatta. Ma so, nell’assenza di risposte pre-confezionate, che cosa non bisogna assolutamente fare in tutti questi casi così complessi: fare di questi temi un pretesto per la propaganda politica, argomentare senza tener conto delle sensibilità coinvolte, dell’unicità di ogni caso e della estrema delicatezza delle situazioni. E’ quanto di più sbagliato si possa fare.
«Il sabato è stato fatto per l’uomo, non l’uomo per il sabato», permettetemi quest’ultimo riferimento al Vangelo, io come molti sanno sono cattolico e cattolico praticante e sono ben consapevole dell’insegnamento del Magistero della Chiesa in merito a questioni così importanti che entrano in maniera determinante nella dimensione della vita, e mi interrogo ogni giorno come da Cristiani si possa continuare ad essere prossimi e vicini nelle condizioni che spesso non appaiano pienamente conformi all’insegnamento della Chiesa. Spesso arrivo ad una conclusione molto immediata: proprio nelle pieghe della vita si insinua (si deve insinuare), quel messaggio di speranza che deriva dalla fede nella consapevolezza che il nostro è (e deve restare) uno stato laico che sa occuparsi dell’uomo, di ciascun uomo nel rispetto delle scelte di ciascuno che prescindono il più delle volte da un credo religioso.
Il ruolo di un cattolico in politica? Fornire, con tutti i suoi limiti e le sue fragilità, altre chiavi di lettura, alimentare il dialogo e il confronto, creare ponti e legami.
Resta comunque un fatto: l’estensione della sfera dei diritti arricchisce la città; la sensibilità, la delicatezza e la pacatezza di parole e atti di fronte alla vita fragile è ciò che ci fa restare umani.
Michele Gennuso

© Riproduzione riservata
Caricamento prossimi articoli in corso...