Quando un coppo dialoga con un architetto: 'La vita dei tetti', l'ultimo libro di Marco Ermentini
“Il coppo è un occasione per parlare di tetti”. Ed è proprio un coppo, semplice tegola realizzata con la terra del posto, a raccontare all’architetto Marco Ermentini la storia del castello di Pandino. Costruito nel 1361 per volere di Barnabò Visconti, il castello è stato protagonista di un recente restauro delle coperture proprio ad opera dell’architetto cremasco.
Un intervento dolce, come è nello stile di Ermentini, che da anni sostiene la filosofia dell’architettura ‘timida’: una corrente di pensiero che prevede di restauri non invasivi. “Questi edifici hanno bisogno di poche cose e, soprattutto, di manutenzione costante. Non grandi lavori, ma piccole azioni quotidiane di cura. Un po’ come si fa per la propria salute”.
Ed è partendo dalle coperture che Ermentini è riuscito ad arrivare alla messa in sicurezza delle mura e delle fondamenta. Nel suo libro “La vita dei tetti e il castello visconteo di Pandino”, che gli è valso la prima pagina de Il Sole 24Ore del 20 agosto, l’architetto spiega la storia del restauro conservativo dell’edificio dal giorno del primo sopralluogo. Lì uno dei 100.000 coppi del tetto inizia a raccontare la sua vita da tegola. Un modo innovativo e divertente che Ermentini ha trovato per trattare una materia tecnica come l’architettura: “I coppi sono l’elemento minimo dell’edificio e il tetto è la parte più importante. Spesso passa in secondo piano, ma bisogna ricordare che è ciò che protegge e conserva tutto il resto. Per me è la quinta facciata di una struttura”.
Il lavoro di conservazione di Ermentini prosegue: “Abbiamo appena finito il restauro della chiesa quattrocentesca di Sant’Andrea a Brignano e inizieremo a breve il castello di Cavernago, in provincia di Bergamo”. Prosegue anche la collaborazione con Renzo Piano che vede l’architetto cremasco nel team per il progetto del rammendo delle periferie, sempre seguendo il filone dell’architettura timida che si fonda su principi semplici e di buon senso: intervenire senza stravolgere e solo quando è necessario e fermarsi nel momento opportuno. Insomma, un’architettura che mira a valorizzare quanto già presente, senza dovere obbligatoriamente ricorrere al bizzarro solo per lasciare la propria firma.
Ambra Bellandi