Lettere

Luca Grossi (PdF): 'Nessun
paziente mi ha mai
chiesto di morire'

da Luca Grossi

Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, al numero 547, declina: “Il fedele laico deve agire secondo le esigenze dettate dalla prudenza: è questa la virtù che dispone a discernere in ogni circostanza il vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per compierlo. Grazie ad essa si applicano correttamente i principi morali ai casi particolari. La prudenza si articola in tre momenti: chiarifica la situazione e la valuta, ispira la decisione e dà impulso all’azione”.

Ho letto come moltissimi la vicenda del povero Fabiano, chiamato da tutti dj Fabo. La spettacolarizzazione della sua tragica morte è il primo aspetto degli avvenimenti che mi ha fatto riflettere. Quante persone ho visto morire nella mia carriera di medico: persone molto malate, incapaci di muoversi nel proprio letto, incontinenti, dipendenti dagli altri sotto ogni aspetto. Ne ricordo una con grande affetto, la signora Carmela, che respirava a fatica secondo dopo secondo a causa di una malattia polmonare ingravescente. Nei momenti di acuto peggioramento, finiva all’inferno: mi si rivolgeva boccheggiando chiedendomi di ridarle aria, di restituirle aria, di fornirle aria. Con me aveva un rapporto di fiducia, di prossimità che veniva ricambiato senza deluderla. E quante volte ce l’abbiamo fatta! Mai una volta, pur nell’angoscia che si prova quando si sta annegando, mi ha chiesto di farle “l’iniezione”. Rovistando nelle soffitte della memoria, non mi viene in mente una, dico una sola persona che mi abbia deliberatamente chiesto di anticiparne la fine, di farla finita prima del tempo. Mi sono sempre chiesto il perché, in particolare in quei casi dove i connotati della persona vengono straziati dalla sofferenza fisica e psichica. Mi viene in soccorso la certezza che questi avevano un’alta considerazione della vita in senso assoluto, quel senso che ha accompagnato l’esistenza e la morte dei nostri nonni, senso che potremmo chiamare “sacralità”. Ecco: ai miei pazienti giunti alla soglia della vita eterna non è mai mancata una stima alta della vita, e la riconoscenza di averne avuta una lunga o breve ancorchè in condizioni di guasto fisico irreparabile. Mi chiedo se Fabiano abbia avuto un’idea alta della vita, se abbia lasciato sedimentare fin da bambino nella mente e nel cuore risposte adeguate a drammatiche domande di senso che pone la caducità dell’esistere.

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