Cronaca

Povertà, nel 2013
in mille alla Caritas
in cerca di aiuto

Feste di Natale, ma non per tutti. La crisi e le difficoltà sono sempre maggiori in città tanto che il numero di persone che si rivolgono ai servizi sociali o alla Caritas per chiedere un aiuto sono sempre di più. A fare il punto della situazione è Claudio Dagheti, all’indomani del tradizionale pranzo di Santo Stefano della Caritas che quest’anno ha visto la partecipazione di 130 persone.
“La caratteristica principale di questo periodo è l’avere tutte le nostre strutture di accoglienza piene”. Così racconta Dagheti, uno dei responsabili della Caritas diocesana. “Prima accoglienza: 27 posti, tutti occupati da tempo. Seconda accoglienza: 13 appartamenti, anche quelli occupati da tempo. Centri di ascolto, di cui ho appena finito di elaborare i dati aggiornati al penultimo trimestre, per quanto concerne l’anno scorso abbiamo fatto 650 colloqui circa; quest’anno ammontano a 930 circa”.
Il quadro delineato da Dagheti è chiaro. La povertà si attesta su livelli importanti, non più trascurabili o fisiologici. Cambia anche la composizione di chi vive in condizioni di povertà: sul nostro territorio sono sempre più le famiglie ad essere colpite. Tra queste, quelle italiane rappresentano una buona fetta. “In Casa della Carità – spiega il responsabile – gran parte sono famiglie. Anzi, a dire il vero sono tutte famiglie, tranne due appartamenti che sono di singoli stranieri”. “In prima accoglienza – continua – c’è una percentuale più alta di stranieri, mentre al Centro di Ascolto siamo ormai a metà e metà. In certi periodi dell’anno c’è addirittura una superiorità da parte degli italiani”.
Cambio di paradigma, quindi: la figura dello straniero bisognoso cede il posto alla famiglia italiana. Ma attenzione: come specifica Dagheti stesso, “si tratta, comunque, di povertà diverse”. È la natura stesso dello stato di indigenza che cambia: “La condizione di povertà dello straniero è spesso temporanea e meno intensa. La povertà dell’italiano, invece, è multidimensionale, è radicata e poco flessibile. Per questo motivo uscirne è più difficile, e richiede più tempo”.
Per quanto concerne il dormitorio, la capienza è a metà: 10 posti su 20 sono stati occupati. E questo, secondo Claudio Dagheti, è un bene. Sia a livello logistico – la struttura ha solo un paio di servizi igienici – che a livello organizzativo: è più facile, per i volontari, affrontare bisogni ed esigenze dell’utenza. Inoltre, il fatto che non venga sfruttata a pieno è indicatore del fatto che non ve ne sia bisogno. Dieci posti in meno sono dieci persone in meno che non devono affidarsi a tali servizi. “La nostra idea – sostiene Dagheti – non era quella di fare un servizio per i poveri, bensì un servizio che possa coinvolgere la comunità; tant’è vero che abbiamo, all’incirca, una trentina di volontari che si turnano, ed è questo il valore vero della struttura”. E per quanto riguarda altre iniziative promosse dalla Caritas, come l’offerta di cibo, chiarisce: “Le colazioni di cui s’è parlato sui giornali non sono opera nostra, ma delle parrocchie di S: Stefano e S. Angela Merici. Per quanto riguarda noi, la Caritas, oltre al pranzo di S. Stefano che è più una realtà extra, quindi rivolta non solo agli indigenti ma a tutti coloro i quali volessero partecipare, a livello interno abbiamo organizzato attività a Natale e lo faremo a Capodanno, ma rivolte solamente all’utenza”.
Da qualche anno gli interventi di sfratto vengono assistiti dal Centro di Ascolto. Questo ente, insieme ad altri organismi – tra i quali il padrone di casa, la parrocchia o il Comune, ad esempio – cerca di trovare una soluzione ai soggetti sfrattati. “Sappiamo che a Crema ci saranno diversi sfratti – conclude Claudio Dagheti –. Sappiamo, inoltre, che il Comune si sta già muovendo per ragionare su possibili soluzioni. E ci rendiamo anche conto che è un periodo d’emergenza per le famiglie, però non si può pensare che lo strumento per rispondere agli sfratti sia avere case da distribuire a queste persone. Perché altrimenti sarebbe un percorso infinito. L’ideale sarebbe avere qualche struttura da utilizzare come cuscinetto, nei periodi di difficoltà, ma solo in via transitoria”.
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