Artigianato cremasco: situazione tragica
Zucchetti: “Le imprese chiudono
cassa integrazione record”
Sarà l’affinità lavorativa; sarà che, in fondo, qualche elemento di verità c’è in ogni discorso; sarà che la crisi c’è ancora, e questo non bisogna scordarlo. Per questi – e forse altri – motivi, il direttore della Libera Associazioni Artigiani cremasca, Giuseppe Zucchetti , non sembra troppo discorde coi ragionamenti di Giuseppe Bortolussi.
Zucchetti s’è reso disponibile a illustrare come sta andando il mondo dell’artigianato cremasco – ma non solo. Ecco cos’è emerso.
Direttore, come sta andando l’artigianato a Crema e nel cremasco?
Posso darle qualche sensazione, più che altro. I dati, purtroppo, confermano quello che misuriamo tutti i giorni; i problemi sono comuni a tutti. La situazione è sicuramente molto pesante. Oserei dire tragica, perché la sensazione è che adesso si sia arrivati al punto di difficoltà estrema. Nonostante i buoni risultati di agosto e settembre, arriviamo da un periodo catastrofico. Bisogna tenere presente che, in una situazione di crisi, il nostro mondo è l’ultimo a fermarsi – quando le grandi imprese del bresciano e milanese iniziavano ad espellere il personale, noi il problema non lo sentivamo ancora. Però poi, ovviamente, è l’ultimo a ripartire.
Qual è il rapporto tra aziende aperte e chiuse ultimamente?
In questo periodo le aziende si chiudono solamente. Non si aprono. Alle volte quando si analizzano i dati numerici ci si accorge che non sono così indicativi. C’è da tenere conto che per un’azienda storica che chiude, per pareggiare l’impatto ne devono aprire dieci. E probabilmente 10 start up non fanno nemmeno il volume di occupazione e produttività dell’azienda storica che ha chiuso. Il dato numerico è sì importante, ma non sufficiente.
Sta dicendo che i dati sono incompleti?
Dico che i dati andrebbero integrati con altri, ad esempio la forza lavoro e le ore di cassa integrazione. Non a caso abbiamo notato che in questi mesi c’è il record di ore di cassa integrazione richieste. Paradossalmente, in questo periodo, si arriva ad avere diverse possibilità di ordini ed impossibilità di farli ripartire. I finanziamenti non ci sono, e senza quelli non puoi finanziare la forza lavoro che ti serve. Devi usare la cassa integrazione, ma se usi quella non puoi far lavorare le persone, e se non fai lavorare le persone non puoi adempiere l’ordine. Ci sono aziende che in questo momento prediligono la stasi per non correre il rischio di inciampare. Però così non si riparte.
Quindi, il “credit crunch” diventa un problema non indifferente. Sbaglio?
È un discorso delicato, specie quando si punta il dito. Io le banche le accuso, ma non in senso generale. Le accuso per il fatto di aver ricevuto soldi da traslare al mondo delle imprese, ma che alla fine sono stati utilizzati per sistemare i bilanci. Questo, però, con connivenza di chi dovrebbe controllare le banche. La stessa banca, oggi, deve capire che o rischia come rischia un imprenditore – perché non ha la garanzia, oggigiorno, che il prestito le ritorni – oppure mantiene la garanzia che l’azienda muoia. E se l’azienda muore poi la banca con chi lavora?
Anche grazie alla crisi, il mercato del lavoro sta cambiando parecchio. Lo stesso vale per le priorità dello Stato, delle imprese e delle persone. Quali potrebbero essere le nuove priorità del periodo?
Tutti, in questo periodo, si preoccupano del fisco. È importante, questo è fuori discussione. Ad oggi, infatti, noi produciamo per il fisco. Basta fare pochi conti per accorgersene. E poi c’è un secondo punto: l’evasione. Si fa presto a dire “se tutti pagassero le tasse…”, allora il prelievo fiscale non sarebbe così imponente. Il nostro mondo, fino a prova contraria, ha dato un certo cenno di risposta. E non sto dicendo che gli artigiani sono tutti santi. Ma, al di là di questi ultimi due anni, il tasso di congruità superava l’85%…
È controproducente continuare a spremere lo stesso limone. Forse è ora di passare ad altro.
Una delle cose più importanti, ora, è la stabilità delle regole del gioco.
Cosa intende con stabilità delle regole del gioco?
Continuiamo a dire che vogliamo rendere appetibile il territorio? Ma come si fa a renderlo appetibile?
Un potenziale investitore, che abbia una modesta somma a disposizione, per attuare l’investimento ragiona su piani pluriennali. Lei verrebbe ad investire in Italia dove si fa un conto di investimento in 7 anni, e la mattina dopo sale un altro governo e cambiano le regole? Qui, il problema è che non c’è nessuna certezza delle regole. Come si fa a rendere appetibile un territorio che è, ormai, un Far West? Non abbiamo nessun tipo di coordinamento dei tributi locali. In 14 km si possono attraversare 16 Comuni, e ognuno di essi fa ciò che gli è più comodo.
La programmazione di lungo periodo è fondamentale.
Quali potrebbero essere le mosse strategiche da mettere in atto per uscire dalla stasi – di cui si diceva prima –, dalla morsa finanziaria e dalla burocrazia asfissiante?
Intanto, una su tutte, la certezza delle regole. Non solo: sfoltire la burocrazia: come si può assolvere a tutti gli adempimenti richiesti? Siamo sicuri che seguire precisamente tutto ciò che impone il fisco sia la strada per la ripresa? Per quale motivo dovremmo dire agli artigiani che devono gestire l’azienda come dice il fisco?
Io sono convinto, ora parlo a livello nazionale – figuriamoci quello locale – un paese possa fare bene poco per determinare una ripresa economica. Può fare tantissimo per mortificarne una in atto, invece. Parlare di un’area economica significa parlare dell’Europa, che non c’è, e in queste cose lo si vede. Un’area come questa può cercare di influenzare una ripresa economica. Un singolo paese, invece, no. Quest’ultimo può sicuramente penalizzarla, ed è quello che stiamo vivendo nel nostro paese: burocrazia eccessiva, carico fiscale d’asfissia, assoluta indeterminatezza delle decisioni, instabilità politica. Penso che bastino queste, anche se potremmo andare avanti ancora. Purtroppo tutte queste cose influenzano tutti i diversi livelli: nazionale, regionale, locale.
Bisogna tornare ad interessarsi all’impresa, perché è da lì che arrivano gli stipendi, è da lì che si prelevano i contributi che poi verranno utilizzati nel sociale, è lì che si produce lavoro. Il primo sociale lo fanno le imprese! Se mettiamo in difficoltà le imprese e le facciamo chiudere, i soldi dove andiamo a prenderli?
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