Cultura

Mafia, ‘il cremasco
le ha spalancato le porte’
Parola di Gennari

“La mafia, al Nord, è un fenomeno radicato da decenni”. Tant’è vero che parlare di infiltrazione, secondo Gennari, è sbagliato. E nemmeno Crema ne è immune. È questo il messaggio che porta il magistrato di Milano, ospite di Libera e del Caffè letterario, al pubblico del Teatro S. Domenico.
Sarebbe sbagliato dire che la platea era piena. Ieri sera, al Teatro, il palco era pieno. Pieno di persone vogliose di ascoltare le storie di mafia – perché di questo si tratta – messe nero su bianco, nel nuovo libro di Gennari: “Le fondamenta della città. Come il Nord Italia ha aperto le porte alla ‘Ndrangheta”. Un titolo scelto non a caso. “La scelta della parola fondamenta richiama un po’ le fondamenta in senso fisico”, confessa l’autore. Non solo: ormai, quella della criminalità organizzata “è diventata una componente economica e sociale fondamentale al Nord”.
Si tratta di persone e di imprese che offrono scappatoie, metodi e servizi per facilitare le vita ed il lavoro. Infatti, “superare la burocrazia è una delle funzioni della mafia”. E da un contesto arzigogolato come quello settentrionale, la criminalità organizzata attinge a piene mani. Anche nei settori più impensabili questo meccanismo funziona. Basti pensare, osserva Gennari, al caso dei paninari: da alcuni indagini del Tribunale di Milano è emerso che persino nel settore dei venditori ambulanti di panini la mafia ha proliferato, e l’ha fatto vendendo postazioni, in luoghi strategici sulle strade, in cambio di protezione da eventuali concorrenti.
Ma nemmeno Crema, nel suo piccolo, ne è immune. Un breve capitolo del libro tratta infatti di un personaggio, mascherato sotto il nome Ricchetti, noto imprenditore edile cremasco. Quest’ultimo, sarebbe legato, ad alcune delle più potenti famiglie mafiose calabresi. Ma, senza andare troppo nello specifico, anche il cantiere della Paullese era entrato nelle mire della criminalità organizzata. Gennari ricorda il caso della ditta Perego, il cui titolare è stato condannato a 12 anni di reclusione per associazione mafiosa. E ciò che più lo preoccupa sono “le ricadute ambientali, in larga parte per una ragione prettamente tecnica: mentre le indagini mafiose sono accentrate, quelle ambientali no”, e permettono alle imprese mafiose di svolgere piccoli lavori, per conto di grandi imprese che hanno conquistato gli appalti.
Gennari, nel suo libro, ha voluto “raccontare storie, quasi fossero polizieschi, che però fossero vere, che spiegassero un pezzettino della società lombarda”. Una piccola porzione, forse, ma che, avverte il magistrato, potrebbe solo essere la punta dell’iceberg.
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