Biogas: 140 impianti
in provincia, nel futuro
solo ‘taglie’ piccole
A quasi due anni di distanza dall’ordine del giorno di Maria Rosa Zanacchi e dalla mozione di Giampaolo Dusi (che chiedevano di imporre limitazioni all’utilizzo di colture specifiche per le biomasse) il consiglio provinciale torna ad occuparsi degli impianti di biogas con una visita alla “Fabbrica della bioenergia”, il laboratorio promosso da enti locali e Politecnico di Milano per creare una filiera di ricerca e sviluppo in un settore che ha visto un vero e proprio boom. La commissione Controllo e Garanzia, presieduta dalla stessa Zanacchi, ha fatto il punto su una situazione che a detta di quasi tutti, di qualunque colore politico, è scappata di mano, a causa del proliferare degli incentivi che hanno accompagnato la nascita e lo sviluppo di questo business. Che in pochi anni ha portato 140 impianti di produzione sul territorio cremonese, con alcune eccellenze – ad esempio gli impianti che oltre all’energia elettrica fanno cogenerazione, quindi produzione di calore – ma una stragrande maggioranza di impianti dal forte impatto ambientale e resa insoddisfacente.
Il biogas in origine doveva servire per alimentare il fabbisogno energetico delle aziende agricole e zootecniche, ma è subito diventato qualcos’altro. Gli incentivi statali sono stati una contropartita per la sempre minore remunerazione dei prodotti dell’agricoltura e della zootecnica in ambito europeo. E alla resa dei conti il business si è rivelato -a detta del consigliere della Lega Piergiacomo Bonaventi – ”un’opportunità per pochi, anche se di grandi dimensioni”, quindi senza un utile ritorno sul territorio, in termini di lavoro creato e vantaggio sociale diffuso. E’ lo stesso assessore ad Agricoltura e Ambiente Gianluca Pinotti, ad ammettere una sorta di sconfitta della pianificazione locale nel cercare di regolare una materia la cui legislazione ha consentito ai privati di installare impiati un po’ dovunque. “Come per i parchi fotovoltaici – ha detto Pinotti – ho sempre ritenuto che fosse un delitto sottrarre terreno agricolo ad una provincia che produce le eccellenze dell’agricoltura e della zootecnica del Paese. Ma fin dal 2009, appena insediato, qualcuno mi fece notare da subito se fossi pazzo a criticare il biogas”. L’attuale normativa sugli impianti inferiori ai 250 KW non prevede più autorizzazione provinciale, quindi sono i Comuni a dare il benestare. Il consigliere Prc Giampaolo Dusi ha fatto presente che nelle conferenze di servizio i Comuni hanno spesso le mani legate, fanno richieste e osservazioni riguardanti le distanze tra un impianto e l’altro e i problemi della viabilità, ma il più delle volte non le vedono accolte. “La realtà è che il nostro è un territorio debole – ha aggiunto Giuseppe Trespidi, Udc – 115 comuni per 300mila abitanti significa che i comuni sono ostaggio dei migliori offerenti, soprattutto delle ditte che offrono compensazioni da svariate migliaia di euro”. Un problema acuito dalle note difficoltà di bilancio degli enti locali.
Impianti che però adesso esistono e che vanno gestiti: Giuseppe Torchio, consigliere della Lista Civica ripropone la necessità che Cremona diventi polo di formazione per figure tecniche specializzate nella manutenzione degli impianti, candidando la sede del Politecnico e relativo know how, come polo di formazione anche per la ricollocazione degli addetti esplusi dal settore petrolchimico, ormai in dismissione e non solo a Cremona. Mentre Giovanni Biondi, indipendente, ha parlato della necessità che la politica stia al passo con le innovazioni tecnologiche nelle fonti alternative, “sbagliata una politica tutta basata sugli incentivi, ma occorre partire da questo stato di fatto per ottimizzare un situazione che ha molti elementi problematici. Ad esempio, dei 140 impianti cremonesi, quanti hanno tecnologia italiana? In quali e quanti è possibile fare cogenerazione?”.
La corsa agli impianti dovrebbe rallentare, sia per effetto di saturazione del settore, sia perchè gli impianti di ultima generazione sono calibrati per una potenza elettrica di 100 kilowatt, dieci volte meno delle installazioni iniziali. Impianti di piccole dimensioni che – spiega il docente del Politecnico Gabriele Insabato – hanno una buona redditività utilizzando le deiezioni animali con progressivo abbandono del mais (destinato a biomassa). Tra i “clienti” della fabbrica delle Bioenergie vi sono ditte già attive che intendono ammodernare gli impianti o renderli più efficienti. Secondo dati pubblicati dallo stesso docente relativi al 2010,“in provincia di Cremona sono stati autorizzati e/o entrati in esercizio circa 51 impianti, per una potenza di circa 45 MW; la maggior parte degli impianti ha taglia di circa 999 kW e l’alimentazione è prevalentemente a colture energetiche dedicate con l’aggiunta di deiezioni animali. Solo i piccoli impianti hanno una prevalenza di deiezioni e una piccola integrazione di mais insilato in alimento. Alcuni impianti, di dimensioni medie, utilizzano anche sottoprodotti di origine agricola. Solo un impianto utilizza sottoprodotti dell’agroindustria”. Sulle ripercussioni economiche: “È inoltre ipotizzabile che sia impiegato un nuovo addetto per ogni megawatt di potenza installata. Sono invece di difficile quantificazione altri ricavi indotti dal settore bioenergetico sul territorio”.
Il record cremonese che ha così grandemente stravolto il paesaggio e la campagna agricola, è un fatto con cui occorre convivere e dal quale trarre possibilmente un vantaggio sociale. Questa la conclusione della discussione. Che non trova d’accordo un’ascoltatrice esterna, sostenitrice della necessità di una netta inversione di tendenza, Maria Grazia Bonfante, capogruppo della lista “Insieme si cambia” a Vescovato. “E’ ormai palese – ha detto – che la corsa al biogas sta proseguendo proprio grazie a impianti di taglia media inferiori ai 300 kW e perché ci si rende conto che l’effetto cumulativo di centrali da 250kW (magari accoppiate) finisce per essere altrettanto devastante (se non peggiore) di quello della diffusione di centrali da 1MW, che hanno ampiamente dimostrato la difficoltà di gestione economica. La spregiudicata lobby del biogas non fa nulla al di fuori di una strategia ben precisa: prima saturazione del territorio con impianti di grossa taglia, poi rimodulazione degli incentivi per proseguire la proliferazione assicurando ai “piccoli” impianti incentivi ancora stratosferici, poi ancora finta autocritica sulle colture dedicate per mirare al ben più lucroso business dei rifiuti (più o meno declassificati)”.
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