Mantova come Cremona
declassa la sua raffineria
Ora che la Raffineria Ies di Mantova è giunta al capolinea (lo stop sarà a gennaio), ora che una storia di lavoro è finita dopo 67 anni non tutti gloriosi, ora che centinaia di lavoratori sono a rischio (eufemismo) e già suonano le campane a morto, due o tre riflessioni sono d’obbligo.
1. IPOCRISIE a GO-GO – E’ stucchevole, financo imbarazzante, registrare il fiume di ipocrisie che hanno accompagnato l’annuncio della “tegola” piovuta su Mantova ed i 350 lavoratori della Raffineria di Frassino nata nel 1946 come ICIP su idea e iniziativa del conte Carlo Perdomini. E’ stucchevole e tedioso registrare la “finta sorpresa” di coloro che sapevano da tempo dell’epilogo inevitabile ma hanno taciuto, dribblato la rogna, ignorati i conti in rosso del colosso. Il mercato fortemente negativo ha costretto la proprietà ungherese a cambiare strategia: la raffineria (infruttuosa) è stata declassata a “polo logistico”. Cioè a deposito. Una retrocessione clamorosa. Proprio come è accaduto a Cremona con la Tamoil. La multinazionale ungherese Mol (che nel 2007 ha acquisito la Ies) voleva sfondare in Italia con una rete di distributori. Aveva grandi sogni nel cassetto. Ma il mercato si è opposto. La Ies è andata in perdita sistematica, come la “cugina” Tamoil. Ha vinto la crisi economica che ha ridotto drasticamente la domanda interna. E i sindacati sono stati presi in contropiede (sostengono). Gli è che da molto tempo l’Unione petrolifera e gli osservatori internazionali avvertivano l’anomalia italiana e Gianni Fava da Pomponesco, già durante la campagna elettorale per le Provinciali 2011, pronosticava la chiusura della Ies, avendo fiutato le intenzioni della multinazionale ungherese. Ma molti, troppi, hanno preferito “girarsi dall’altra parte” anziché negoziare, per tempo, il rilancio dell’area. Perché?
2. RETORICA A FIUMI – Come sempre accade in questi casi quando centinaia di lavoratori perdono il posto di lavoro, scende in campo il retoricume d’accatto. Scorrono fiumi di lacrime (di coccodrillo), parlamentari e sindacalisti del territorio vestono a lutto, nessuno si rimprovera il silenzio omertoso che per anni ha accompagnato la deriva della Ies.Ora, a buoi scappati, assisteremo alla consueta commedia all’italiana, al valzer di proposte di tavoli di lavoro,conferenze, scioperi. Verranno alla ribalta i soliti noti, i professionisti dell’io “l’avevo detto”. Qualcuno tirerà fuori dal cassetto vecchi documenti in cui erano fissati “processi di riconversione industriale e di risanamento ambientale e di consolidamento dell’occupazione nell’area”. La retorica si gonfierà come le sacche di una cornamusa, i partiti sgomiteranno per schierarsi con i lavoratori al grido “salviamoli”. Il caso Cremona insegna.
3. SPERANZE & BONIFICA – La Ies chiude ma non può scappare dall’obbligo che le impone la legge. Cioè l’obbligo di bonificare le falde e i terreni “anche sotto l’area della vicina Belleli Energy”. Si sospetta che sottoterra vi siano migliaia di metri cubi di veleni in marcia verso i laghi. Se la Ies spegne pure il depuratore, è una catastrofe. Da scongiurare, ovvio. Ma come? L’ordinanza della Provincia di Mantova (15 ottobre 2012) parla chiaro. La Ies deve ripulire. Punto. Lo farà? Se Mol ha deciso di non investire più per l’unità produttiva di Strada Cipata, come si può pensare che facciano una bonifica seria, costosa, rassicurante? Certo, Mol è un gruppo europeo, non è in fallimento, può offrire le necessarie tutele. Ma occorre vigilare. L’inerzia manifestata in questi ultimi anni da enti e sindacati non deve spegnere le speranze (legittime) di chi sogna un ritorno alla normalità.
Enrico Pirondini
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