Cronaca

Acqua, la rivolta dei sindaci
scombina i giochi già fatti

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Sessanta sindaci hanno bocciato la società mista per la gestione dell’acqua. Superano il 50% più uno dei sindaci del territorio (115 in tutto). Il presidente Salini può comunque mandare avanti il progetto portandolo in Regione, perché per decadere la proposta per la società mista deve ricevere la maggioranza ponderata di ‘no’. Ossia la maggioranza in termini di abitanti del territorio espressa attraverso i sindaci in base al ‘peso’ demografico dei comuni da loro rappresentati. Ma con il voto di questa sera quei 60 amministratori hanno l’arma per poter contrastare il disegno della Provincia attraverso un ricorso al Tar o al Consiglio di Stato. Ed è stato un voto conquistato con le unghie e con i denti dai 60 sindaci – di centrosinistra per buona parte, ma con una buona delegazione di centrodestra – che stasera si sono battuti fino all’ultimo contro tatticismi e sotterfugi ormai alla luce del sole.
Sì, perché la prima parte della conferenza di questa sera a CremonaFiere ha rappresentato una delle pagine più tristi e vergognose per la politica cremonese. Una pagina riscattata soltanto dalla tenacia dei 60 e dal bell’applauso con il quale tanti cremonesi hanno accolto i primi cittadini all’uscita.
Nella vicenda che ha tenuto banco in queste settimane si è visto di tutto. Si è visto calpestare un referendum e si è visto calpestare la volontà di 102 sindaci che hanno chiesto la revoca della proposta per la società mista. Si è visto il tentativo di calpestare la volontà di 60 sindaci che chiedevano di esprimere un legittimo voto. Si sono visti sindaci abdicare al proprio ruolo all’ombra di sofismi, starsene a casa – Cremona e Crema in testa – anziché votare per quello in cui legittimamente credono (una società mista). E si son visti amministratori con le palle – il vice di Soresina, Bertusi, e il sindaco di Castelvisconti, Sisti – ignorare gli steccati di partito e forse altro, presentarsi e decidere secondo coscienza.
Si è vista, stasera, la rappresentazione triste di un presidente di assemblea, Raffaele Leni, che non si arrende alla democrazia e che per questo sceglie la fuga. Letterale e tra i fischi.

Un momento dell'assemblea

L’ASSEMBLEA – L’assemblea in Sala Zelioli Lanzini è cominciata intorno alle 19. All’ordine del giorno il voto sulla proposta dell’Ufficio d’ambito (azienda speciale della Provincia) per la società mista che nei prossimi 20 anni gestirebbe il servizio idrico nel cremonese. Per la validità della seduta occorreva il 50% più uno dei sindaci del territorio. Diversamente l’assemblea sarebbe saltata e la proposta, beneficiata dal meccanismo del silenzio assenso, avrebbe seguito il suo corso senza intralci (sebbene l’ultimo voto spetti al Consiglio Provinciale). Confortati dall’esemplare (sic) esercizio di democrazia dei sindaci di Cremona e Crema, quasi tutti i primi cittadini di centrodestra se ne sono stati a casa. Grazie alla presenza di tutti i sindaci del centrosinistra e di qualche amministratore del Pdl, dell’Udc o delle civiche (Soresina, Castelvisconti, S. Bassano, Monte Cremasco, Ripalta Arpina, Gombito) il numero legale è stato raggiunto.
Presenti 61 comuni per un totale di 137.052 cittadini, ha informato il presidente dell’assemblea, Leni, sindaco di Cappella de’ Picenardi. La maggioranza ponderata, necessaria all’espressione di voto sulla proposta è di 181.031 cittadini. “Non c’è il numero per sostenere la votazione”, ha tirato le somme Leni già con le chiavi dell’auto in mano. Da qui in poi è una processione di sindaci accomunati da una sola richiesta: procedere al voto perché il numero legale c’è. Starà poi a tecnici e avvocati stabilire se quel voto sia sufficiente ad approvare o respingere la proposta dell’Ato. Quasi encomiabile, a quel punto, la pervicacia con la quale il direttore dell’Ato, Boldori, ha difeso la linea tracciata da Leni – il quale, nel frattempo, ‘messaggiava’ a tutto spiano neanche fosse un cronista dell’Ansa.
Da notare, a questo punto del resoconto, l’assenza di tutti i componenti il Cda dell’Ufficio d’Ambito ad eccezione di Marco Cavalli.

LENI SE NE VA – Ascoltati con pazienza – tra un sms e l’altro – tutti gli interventi, il presidente Leni con serenità olimpica ha dichiarato chiusa l’assemblea, ha indossato berretto e cappotto e ha attraversato la sala diretto all’uscita tra fischi e cori dei sindaci e di una delegazione di cittadini. Se l’imbarazzo può avere un’icona, questa è il sindaco Leni che si allontana svelto.
Superato lo sconcerto per un episodio che a detta dei meno sbarbati non ha precedenti, Claudio Silla da Casalmaggiore s’è messo al timone. Non fosse che stavano cercando di ripristinare un consesso democratico, pareva di assistere a un ammutinamento. “L’assemblea è regolarmente costituita, stasera si sta scherzando con la democrazia. L’assemblea nella sua autonomia decide di insediare per questa seduta il consigliere più anziano”, ha proclamato Silla. Carmine Lazzarini da Castelverde s’insedia. Brevi dichiarazioni di voto, poi il voto vero e proprio sull’oggetto all’ordine del giorno.

IL VOTO – Si segnalano le dichiarazioni di Alberto Sisti, sindaco di Castelvisconti per il Pdl, e di Fabio Bertusi, vicesindaco Pdl di Soresina. “Voto contrario – dice il primo -, non al modello (società mista; ndr), ma dopo quello che è successo sono contrario anch’io”. Applauso. “Mi sarei astenuto – fa eco Bertusi – ma non posso dopo quello che ho visto”. Applauso.
Allontanati tutti i non aventi diritto al voto per rispettare la procedura, si è proceduto a sentire i sindaci uno a uno. Da fuori a un certo punto si è sentito Silla sbottare: “i funzionari Ato si sono rifiutati di verbalizzare”. Anche questo rende l’idea di un boicottaggio giunto in ultima battuta al parossismo.
Con 60 voti contrari su 60 votanti, la proposta di società mista è stata rigettata. Subito dopo i sindaci hanno messo in votazione la sfiducia al Cda dell’Ufficio d’ambito e la sfiducia al presidente Leni. Entrambe approvate all’unanimità.
Tecnicamente, il piano provinciale per l’ingresso del privato nella gestione dell’acqua non è bocciato perché serve la maggioranza ponderata. Ma il segnale politico all’indirizzo della Provincia è d’una evidenza imbarazzante. Allo stesso modo, la maggioranza numerica dei sindaci del territorio ha ora un’arma – la votazione di stasera e il verbale – per ricorrere nel caso in cui la Provincia dovesse procedere comunque.
A riscattare una vicenda deprimente per Cremona, il lunghissimo applauso con il quale i tanti cittadini disposti ai lati delle scale e dell’ingresso del padiglione hanno accompagnato i sindaci all’uscita.

 

f.c.

 

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